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Aggiornato: 10 giugno 2025


Lo giorno se n'andava, e l'aere bruno toglieva li animai che sono in terra da le fatiche loro; e io sol uno m'apparecchiava a sostener la guerra si` del cammino e si` de la pietate, che ritrarra` la mente che non erra. O muse, o alto ingegno, or m'aiutate; o mente che scrivesti cio` ch'io vidi, qui si parra` la tua nobilitate.

Indi egli disse: In una delle tue lettere molto tempo fa, mi scrivesti: «Questo amore traverso la lontananza, questo amore che non ha chiesto l'aiuto di alcuno dei nostri sensi, questa è la celeste Rosa dell'Amore, la mistica Meraviglia, fiorita nelle nostre anime a diletto dei cieli». Vogliamo coglierla, Nancy? coglierla e portarla per diletto nostro?

«Non senza lagrime io lessi la lettera che tu mi scrivesti per la morte della tua consorte, in cui mi esprimevi l’eccesso della tua angoscia. Poichè, oltre all’essere, per stesso, un caso ben degno di dolore che una donna giovane, saggia, cara al marito e madre di buoni figliuoli si spenga, prima del tempo, come una fiaccola splendidamente accesa e che, in breve, perde la fiamma, è per me non meno triste il pensiero che questo dolore sia toccato a te. Poichè meno di tutti meritava tale angoscia il nostro buon Amerio, un uomo così saggio ed il dilettissimo fra i nostri amici. Ora, se fosse un altro a cui io dovessi scrivere in una simile congiuntura, mi converrebbe di fare un lungo discorso, per insegnargli che l’evento è umano e che lo si deve sopportare come inevitabile, e che dal troppo piangere nulla si ottiene, e dirgli infine tutto quanto può essere, per un uomo ignorante, conforto al dolore. Ma poichè, rivolgendomi ad un uomo che sa ammaestrare gli altri, mi parrebbe sconveniente tenergli dei discorsi che sarebbero buoni per chi non sa esser saggio, permetti che, lasciando ogni altra considerazione, io ti rammenti il mito e insieme il ragionamento verace di un uomo sapiente, di cui forse tu avrai gi

«Che scrivesti», cioè in te raccogliesti, «ciò ch'i' vidi», nel cammino da me fatto, «Qui», cioè nella presente opera, «si parrá la tua nobilitate», cioè la tua sufficienza in conservare; percioché la nobilitate della cosa consiste molto nello esercitar bene e compiutamente quello che al suo uficio appartiene.

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