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Aggiornato: 15 maggio 2025


Dopo ventiquattro giorni di vita cittadina, la carovana mi fece l'impressione viva d'uno spettacolo nuovo. Eppure nulla era mutato, eccetto che, in mezzo a noi, accanto a Mohammed Ducali, cavalcava il moro Scellal, il quale, benchè i suoi affari fossero stati accomodati amichevolmente, credeva più prudente ritornare a Tangeri sotto le ali dell'Ambasciatore, che rimanere a Fez sotto quelle del suo Governo. Oltre a ciò, un osservatore acuto avrebbe notato sui nostri visi, se pessimista, un certo dispetto, se ottimista, una certa serenit

Nove giugno: ultimo del soggiorno dell'Ambasciata italiana in Fez. Tutte le domande dell'Ambasciatore sono state esaudite, accomodati gli affari del Ducali e dello Scellal, fatte le visite di congedo, subíto l'ultimo pranzo di Sid-Mussa, ricevuti i regali d'uso del Sultano: un bel cavallo nero, con una enorme sella di velluto verde, gallonata d'oro, all'Ambasciatore; sciabole dorate e damascate ai membri ufficiali dell'Ambasciata; una mula al secondo dracomanno. Le tende e le casse son partite stamattina, le stanze son vuote, le mule son pronte, la scorta ci attende alla porta della Nicchia del burro, i miei compagni passeggiano nel cortile aspettando l'ora della partenza, ed io seduto per l'ultima volta sul mio letto imperiale, noto, col quaderno sulle ginocchia, le mie ultime impressioni di Fez. Quali sono? Che cosa ha finito per lasciarmi, in fondo all'anima, lo spettacolo di questa citt

Il moro Scellal ci condusse a prendere il in casa sua. Entrammo per uno stretto corridoio in un cortiletto oscuro, ma bellissimo; bellissimo, ma sucido quanto le più sucide case del ghetto d'Alkasar. Fuor che i musaici del pavimento e dei pilastri, tutto era nero, crostoso, viscoso, schifoso. Vi sono due stanzine buie a terreno; al primo piano, gira una galleria, e sulla sommit

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