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Aggiornato: 15 maggio 2025
Folco si chiuse nel suo studio; era annientato dalla rivelazione. Riudì all'orecchio il ritornello d'Ariberto: «La donna vuole un padrone: un pa-dro-ne!» Gioconda l'aveva trovato: egli, Folco, non era capace di far da padrone; egli era un pover'uomo, un letteratoide, un ambizioso andato a male. Rise beffardamente. Chi sa? disse ad alta voce. Chi sa ch'io non sia capace di far da padrone?
Le parole di Clelia gli erano giunte al cuore e ne avevano ridestato il dubbio roditore. Assorto, col sopracciglio proteso, con la fronte abbuiata, egli s'interrogava come Clelia si era interrogata. Allora, quasi per un'attrazione invisibile, si riudì la voce del pianoforte. La suonatrice tentava per l'ultima volta. Dio santo! disse Clelia, nascondendosi il volto fra le mani.
Il cuore, la mente, annebbiati dall'egoismo senza confine degli innamorati, avevano avuto per la fanciulla contemplazioni malvage, sensi d'odio, o fugaci desiderii perversi; non mai uno slancio durevole di tenerezza e di casta sollecitudine! Egli n'era atterrito, e taceva pensando. Ma d'improvviso, riudì la voce d'Emilia, che mormorava: Condannata!... È condannata per sempre....
Parola Del Giorno
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