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ERASTO. Come non ricordarmi di quello che mi sta sempre fisso nella mente? CINTIA. Cor mio, che fate? voi mi togliete in braccio. ERASTO. Perdonatemi, padrona, se contro il voler vostro vi porto a casa mia: da che voi mi sète moglie, non vo' piú vivere senza voi.

Vi chiedo combiato per questa, ché moro senza vedervi: se vi avessi fatto qualche dispetto, perdonatemi, ché non lo feci mai per propria volontá, ma per pietá che avea della vostra vita e per moderar le vostre passioni, quando scorgeva ch'erano in voi nel maggior colmo; e pregate Iddio per me, ché, avendo tanto patito nella vita, mi dia pace in Cielo doppo la morte». O occhi miei, voi sète di pietra, poiché parole cosí miserabili non ponno cavar da voi vivi fonti di lacrime.

Se aveste avuto qualche anno di più, avreste capito che il vostro procedere meco era molto leggiero. Avete ragione. Perdonatemi. Non più leggiero forse del mio verso di voi. Ma la nostra importunit

Un urlo disperato come di uomo ferito in mezzo al cuore riempie la stanza. Dopo lunga ora il giovane risensato da grave svenimento si trova giacente in letto, e vede il Presidente con amorevole sollecitudine porgergli aiuto. Questi lo vide appena con gli occhi aperti, Che levate al cielo le mani giunte esclamava: "Lodato Dio! vi reputava più forte: invece di fare bene, temo avere commesso troppo gran male, e ne ho rimorso. Figliuolo mio, perdonatemi per carit

ERASTO. Veramente l'ho stimato cosí sempre, ma ho voluto saperlo di bocca vostra, padrona singulare. Attendo l'altra grazia che vi chiese e perdonatemi tanta importunitá per dar questa importunitá al mio core: che apriate il portello della gelosia che v'impedisce la vista, ché non mi lascia godere un tanto bene.