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Aggiornato: 7 luglio 2025


Sono pochi nulladimeno i cristiani, che d'un vile e sordido sacrilegio siano colpevoli, in proporzione delle altre nazioni, e de' turchi particolarmente ed indiani mogori, i quali, ben sapendo non dover essere se non per gran fortuna i figliuoli loro eredi delle facoltá loro, tutto cadendo per loro morte al regio fisco, nascondono sotterra immensi tesori, con proposito di manifestarli a' figli avanti la morte; il che non riuscendo sempre a talento, restano quei metalli di nuovo in seno alla terra, da cui furon generati.

'O quarantuno a morte. Si mme riesceno cierte revulette ca sto facenno, te voglio fa vedé io chi è don Gennaro. Tiene mente cc

Quello che mi anima non è altro che l'amore della giustizia, quel medesimo che deve parlare, o signori, nell'interno delle vostre coscienze. Io ho sentito il procuratore del fisco invocare una pena gravissima contro i miei difesi, la tremenda, la irreparabile pena di morte.

La pena dunque che la croce porse s'a la natura assunta si misura, nulla gia` mai si` giustamente morse; e cosi` nulla fu di tanta ingiura, guardando a la persona che sofferse, in che era contratta tal natura. Pero` d'un atto uscir cose diverse: ch'a Dio e a' Giudei piacque una morte; per lei tremo` la terra e 'l ciel s'aperse.

La morte d'Isabella era il colpo di grazia al grande infelice. Viva la regina, si poteva sperare ch'ella fosse un giorno e l'altro per vincer l'animo iniquo di Ferdinando; e ad ogni modo si poteva esser certi che la regia fede sarebbe stata mantenuta, com'era scritta in forme solenni.

Ma non so più leggere. Quando il luglio è implacabile coi suoi trenta gradi, io fuggo le morte biblioteche. Io voglio l'aria, il cielo, il mare!

Preso all'impensata, in mezzo a visioni così lontane dalla malattia, dalla morte, da quella giovanetta, ch'egli considerava col dispregio compassionevole d'un artista per un bel quadro screpolato, Cesare ebbe la tentazione abbacinante di gridare ad Emilia: «Non legarti a lei; è condannata. Tu sei per la vita, ed ella è per la morte.

Tre cose, messere Francesco desiderava vedere innanzi, la sua morte, ma dubita, ancora ch'ei vivesse molto, non ne vedere alcuna: uno vivere di repubblica bene ordinata nella citt

el non s'arresta, e questo e quello intende; a cui porge la man, piu` non fa pressa; e cosi` da la calca si difende. Tal era io in quella turba spessa, volgendo a loro, e qua e la`, la faccia, e promettendo mi sciogliea da essa. Quiv'era l'Aretin che da le braccia fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte, e l'altro ch'annego` correndo in caccia.

Assolutamente in quest'ultima novella c'è tutto BRUNO SPERANI, ed io suo ammiratore, non ho altro ad aggiungere. Il Romanzo della Morte, 1890.

Parola Del Giorno

serafica

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