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Oimè, che or ora m'uccidi la mia figliuola! ché allora pensando al mancamento ch'avea fatto all'onor suo, mosso dalla disonestá del fatto, il desio della vendetta non mi facea sentir la doglia.

MASTICA. Io morto di fame? se mi porrò mano in gola, vomiterò tanta robba che potrò dar a magnare a dieci di pari tuoi. TRASILOGO. Squadra, porta qua dieci some di bastoni, ché non posso sopportar piú. Poltron, non parlare se non quanto le tue spalle ponno sopportar bastonate. MASTICA. Non ti mette conto che m'uccidi. TRASILOGO. Perché?

LECCARDO. Voi dite «amen» come fosse al fine e non sète ancora al principio. DON FLAMINIO. Spediscimi, per amor di Dio! LECCARDO. Sei bello e spedito. Carizia è maritata con un parente del viceré della provincia. DON FLAMINIO. Se tu dici da senno, m'uccidi; se da burla, dove ci va la vita mi ferisci troppo acerbamente. Sai tu il nome del marito?

ALESSIO. M'uccidi tardando tanto a dirmi che vogli. PANURGO. Essandro vi prega, straprega e scongiura che l'accommodiate per un giorno d'una veste da dottore. ALESSIO. A che vuole egli servirsene? PANURGO. Lo saprete poi: non lo dico adesso per non dar fastidio a questi che stan qui, che l'hanno inteso un'altra volta.

Restituiscilo, ch'io lo spezzi, ch'io lo calpesti, ch'io lo butti nel mare.... -Ah, tu m'uccidi! Ella era tutta sbiancata in viso, e le labbra fatte violacee erano scosse da un lungo tremore. Subitamente, egli l'aveva lasciata e s'era messo in ginocchio portando le mani alla testa e scompigliando i suoi capelli grigiastri. Perdono, Costanza; perdonami, sono un pazzo, lo vedi!