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Centosessanta al cameriere del caffè del teatro; duecentocinquanta all'orefice, quello dell'anello di brillanti; il resto per un acconto alla Ville de Paris... E dunque?... gli domandò, dopo un momento, il cavallerizzo. Che cosa? Accettate? Se è per farvi piacere, qua la mano! E non essendo affatto un minchione, Giacomino assunse, alla sua volta, una cert'aria d'importanza e di protezione.

Appena che la cappa di velluto rasato e la collana d'oro del conte Galeazzo comparve nella gran sala dove infuriavano l'orgie, a tutta prima scoppiò un urlo generale che non pareva prometter nulla di buono per lui, e tutti i pantanosi caramogi, come ranocchi sconcertati dall'improvvisa comparsa di un luccio dorato, gracidarono minacciando di farlo in brani; ma il conte avea più di una cosa che militava a suo favore. In prima è da sapersi, ch'egli tutte le mattine, alla porta del proprio palazzo, faceva distribuire duecentocinquanta zuppe per la minutaglia affamata, ora buona parte di coloro che attendevano col

Qua, vediamo! Il Direttore gli strappò la busta di mano. C'erano le duecentocinquanta lire. Oh, alleluia! esclamò la Gioconda avvicinandosi colle mani sui fianchi, e aspettando la sua parte. Mi darai le venti lire per il dentista! esclamò subito anche Evelina. Essa, quando c'eran denari, ne domandava sempre, per il dentista, il dottore, la farmacia Zambelletti. Uno alla volta! Uno alla volta!

Poi, con Sappia, ritornò a casa. Parlerò io al tuo signor zio antidiluviano aveva sclamato il Sappia quando Enrico gli aveva raccontato del fiero rabbuffo avutone. Lui li chiama minuti piaceri? Altro che minuti! Impercettibili, microscopici... piaceri! Il notaio a stento acconsentì di portar l'assegno di Enrico da duecentocinquanta a trecento franchi al mese.