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Aggiornato: 25 maggio 2025


Bryce cominciò la sua trattazione col secondo secolo dell'antico Impero Romano, senza ricercarne le radici fuori della storia particolare dello stato romano medesimo e senza gettare un rapido sguardo sull'Oriente e sul principio autocratico giudaico.

Nella conclusione della sua opera, Bryce così parla, a glorificazione dell'Impero, e nelle sue parole pulsa ancora il pensiero di Dante e di Petrarca: «L'opera dell'Impero medioevale fu benefica, ma a proprio danno; esso nutrì, apparentemente combattè, le nazioni che erano destinate a prendere poi il posto occupato da lui; esso pose un freno alle barbare popolazioni del Nord, e le ridusse ad una forma di civilt

Quando apparve l'atto d'abdicazione dell'Imperatore tedesco del 6 agosto 1806, esso non produsse, osserva con stupore il Bryce, nel mondo che lo udì, un'impressione molto maggiore di quella che aveva prodotto, al tempo del conquistatore Odoacre, la caduta dell'antico Impero romano. Nondimeno ogni patriota ed ogni uomo di pensiero doveva essere profondamente commosso dalla considerazione che in quel momento la più antica istituzione dell'Occidente toccò il suo estremo tramonto. Quell'impero infatti datava da Giulio Cesare! Aveva avuto, come nessuna altra istituzione all'infuori della Chiesa, 1800 anni di esistenza! La dignit

Bryce osserva che l'Impero tedesco ed il suo Imperatore si trovarono di fronte all'usurpatore Napoleone nella stessa situazione, in cui si trovò l'Impero bizantino, quando Carlo Magno usurpò la corona di Costantino. Ma Vienna o Regensburg fece meno opposizione al conquistatore ed alle sue pretese di dominio mondiale, di quello che non aveva un giorno fatto Bisanzio.

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