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Bruno lo chiamava, gli si metteva innanzi, lo accarezzava, cercava rammentargli nomi e cose d'un giorno; la mamma, Villa Florida, il vecchio Elia Polacco, la sua amica Paulette Demours, Parigi, lo zio Francesco, Nicla, Salapolli detto Salafame. Invano: era come gridar dentro un pozzo senza eco. Non rispondeva nemmeno al suo nome; si lasciava scuotere, e rimaneva insensibile.
Il conte Fabiano aveva allora una bella amante, Paulette Demours, che sembrava palpitar veramente per lui: e spaventata dalla fortuna vertiginosa, ne temeva il crollo da un istante all'altro. Ella supplicava il conte di smettere; aveva ammassato un patrimonio, per un infernale capriccio della sorte; non doveva forzarla di più, o la sorte gli si sarebbe ribellata, vendicandosi atrocemente.
La ragazza prometteva con un cenno del capo; e seguiva degli occhi avidamente il fanciullo vestito di scuro, pallido e olivastro nel volto magro, col cappello dalla piuma di fagiano. Gli amici di casa non avevano mai capito se Paulette fosse innamorata del padre o del figlio.
E qualche giorno impediva davvero ch'egli tentasse colpi, non più arditi, ma assurdi. Bruno sapeva tutto; e dopo aver dato un'occhiata in giro, andava da Paulette, e indicando il padre, le diceva negligentemente: Bada che non commetta stupidaggini!
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