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I vostri filosofi, i vostri sacerdoti del pensiero e dell'arte, non tosto avevano afferrato colla mente un concetto di Vero, che sentivano prepotente il bisogno di ridurlo a fatto, e furono, dagli antichi Pitagorici a Tomaso Campanella, da Dante Alighieri a Michelangiolo e Machiavelli, ordinatori di consorzî segreti, legislatori di citt

La fantasia potente oltremodo lo spronava a grandi cose: la mente incerta, pasciuta di Machiavelli e di studî sull'uomo del passato più che d'intuizioni sull'uomo avvenire, lo ricacciava nelle anatomie dell'analisi, buone a dichiarare la morte e le sue cagioni, impotente a creare e ordinare la vita.

Il duca studiava ancor molto perchè nessuno potesse prenderlo in fallo. Era fra gli ammiratori più appassionati di Machiavelli, scrittore allora recente. Quello storico, quel politico, che insegna ricorrere ad ogni mezzo quando può condurre allo scopo, doveva piacer molto al duca. Di tali massime egli era convintissimo; ne aveva dato una prova nella condotta tenuta verso i parenti spogliati.

E il governo italiano, Machiavelli o non Machiavelli, si guardava bene dal curiosare. Il danno prodotto dalla invasione di queste cavallette filologiche fu enorme. Ma forse anche piú grande fu quello che arrecarono, in buona fede, gli Italiani andati ad intedescarsi in Germania. E lo vedremo nel prossimo articolo.

Le Nazioni non si rigenerano colla menzogna. Machiavelli, che i falsi profeti di libert

I Fiorentini che non potevano pagare così grossa somma, temevano di negarla, e non avrebbero osato concederla per non perdere l'amicizia francese. Si pensò a mandare ambasciatori a Massimiliano, ma parve finezza farli precedere da qualcuno che saggiasse il terreno. Il Soderini nominò Machiavelli; ma questi era un subalterno. L'orgoglio fiorentino protestò; fu mandato il Vettori.

Le cose giudiziose che vi s'incontrano per rispetto a Dante, al Petrarca, all'Ariosto, al Machiavelli, ecc. ecc., o vogliono essere riportate tutte, o vogliono essere taciute. Crediamo dunque miglior partito quello di dar qui un epilogo del discorso finale con cui l'autore conchiude la storia della letteratura italiana.

Il Macchiavelli mandato dalla Signoria al Valentino nella più difficile crisi della sua conquista in Romagna potè studiarlo. Tutti i condottieri gli si erano ribellati; egli temporeggiò, li ingannò, li uccise tutti: era fatale, era morte per morte. L'impresa della Romagna lo esigeva, l'Italia politica approvò, Macchiavelli ammirò il coraggio e la destrezza di quel processo. Il duca Valentino gli si ingigantì nel pensiero. Infatti, quel figlio di papa gittato nella tormenta della politica d'allora senz'altro appoggio che quello precario del pontefice, e nullameno così forte da pretendere a un regno; parato ad ogni fine, capace d'ogni mezzo, gran signore, impenetrabile, romantico al punto da mescolare imprese galanti a tragedie di guerra, non obbliandosi mai: sobrio e dissoluto, spezzando impassibile i proprii migliori strumenti come Don Ramiro appena gli si appesantissero nella mano, era bene la più gagliarda figura italiana del secolo. L'orrore che adesso in noi desta il solo suo nome era allora quasi tolto dai costumi del tempo; solo la sua idea e la tragica costanza nel seguirla restavano grandi. Involontariamente il Machiavelli lo paragonò a parecchi eroi dell'antichit

«. . . . . . . . Il suo scopo, signori, è quello che fu annunziato o preveduto da tutti i grandi italiani, da Arnaldo da Brescia fino a Machiavelli, da Dante fino a Napoleone, che appartiene a voi come a noi: l'unificazione politica della penisola; l'emancipazione dal mare all'Alpi di questo suolo dal quale esciva due volte la parola d'ordine dell'unit

La figura del duca dominò quindi tutta la vita del Machiavelli, che la pratica della politica veniva riconfermando nella necessit