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Sibbene in quell'anima trasparente, quadrata, vuota di ogni altro affetto, viveva l'unico ed arido sentimento del dovere. Era dovere per lei alzarsi presto la mattina, dirigere le serve che impastavano ed infornavano il pane, dare gli ordini pel pranzo, aprire e chiudere gli armadi; poi invigilare che i letti fossero rifatti, e bene rimboccate le lenzuola, che non rimanesse polvere sui mobili, che fossero battuti e scossi i tappeti. Il sabato ci era da sorvegliare la grande e complicata faccenda del bucato, seguita da quella ancora più importante dall'insaldare: si dovevano distribuire ai poveri le elemosine consistenti in danaro, panni, medicine e commestibili. Alla fine di ogni stagione conveniva fare le conserve dei frutti, rifornire le provvigioni esaurite, discorrere coi coloni, scrivere a quelli che non si erano presentati: alla fine dell'anno fare il bilancio, paragonarlo con quelli precedenti, dare i conti al padre, parlandogli cogli occhi bassi, a voce sommessa, di cifre, di affari, di nuove economie; riceverne in cambio, come unico e venale segno di soddisfazione un titolo di rendita di dieci lire e deporre sulla fredda mano di lui un bacio gelato per ringraziamento. A Pasqua ed a Natale, Silvia doveva scrivere ai parenti lontani quelle sciocche ed inutili lettere di felicitazioni, sempre con le stesse frasi; al principio dell'inverno e dell'estate scriveva ad una sarta della capitale, perchè le mandasse un abito ed un cappello, lasciando a lei la scelta del taglio e del colore; l'abito arrivava ed era chiuso nell'armadio, per uscirne solo la domenica, quando Silvia andava alla messa, la seconda messa, ascoltata in chiesa solo da poche devote. Essa leggeva nel suo libro le parole di preghiera che non trovavano alcuna eco nell'anima; la messa finiva, un grande segno di croce, ed a casa un'altra volta. Erano questi i suoi doveri; essa non trovava gusto noia in alcuno di essi: la carit