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I cardinali si eran divisi in due partiti. A capo dell’uno, Matteo Rosso Orsini, e Francesco Gaetani nipote di Bonifazio VIII; che stavano, come andavan dicendo, per la onorevol memoria di questo, e volevano un papa italiano: a capo dell’altro, il cardinale Napoleone Orsini e il cardinal Niccolò da Prato, non felice paciero in Toscana, ambedue partigiani francesi.

Poco tempo dopo arrivava dalla Francia una cassa pieni di arredi da donna con una lettera di Gervasio, nella quale egli si congratulava col fratello per il prossimo matrimonio, e gli faceva mille scuse se osava spedirgli il corredo della sua povera defunta, ancora nuovo, per l’immatura sua morte. «Non saprei farne un uso migliore, egli scriveva, la tua sposa non se ne offenda se la tratto fino da questo momento come sorella; fra fratelli che si amano quello che è dell’uno è anche dell’altro.

Inesprimibile l’ardore che essi mettevano nella causa; l’agitazione, la fatica, la contenzione d’animo influì tanto sul temperamento dell’uno, che, appena udita la sentenza contraria, la sua statura s’accorciò improvvisamente d’un piede; mentre fu così viva la gioia dell’altro che le sue membra si allargarono, e di più pollici s’ingrossò la sua corporatura.

V’era poi una ragione considerevole per la oculatezza da mettersi nella scelta: il paragone con i quaresimalisti di altre chiese, nelle quali usava ammirare veri campioni della sacra eloquenza. Il pubblico accorreva alle due chiese come a due teatri: e voleva giudicare de auditu e de visu dell’uno e dell’altro.