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Aggiornato: 1 maggio 2025
S'incontravano dei barconi carichi di legumi, di torba, di pietre, di botti, rimorchiati con una lunghissima corda da un uomo aiutato qualche volta da un grosso cane con una cordicella al collo. Alcuni erano rimorchiati da un uomo, una donna e un ragazzo, l'uno dietro l'altro, colla fune legata a una specie di sottopancia di cuoio o di tela; tutti e tre tanto inclinati innanzi da non capire come malgrado il ritegno della fune potessero tenersi in piedi. Altri barconi eran rimorchiati da una vecchia sola. Su parecchi, c'era al timone una donna con un bambino al seno; altri bambini intorno; un gatto sur un sacco, un cane, una gallina, dei vasi di fiori, delle gabbie d'uccelli. Su altri la donna faceva la calza dondolando una culla col piede; su altri faceva da mangiare; in alcuni, tutta la famiglia, meno uno che rimorchiava, stava mangiando in crocchio. E non si può dire la pace che spirava nei visi di quella gente, nell'aspetto di quelle case acquatiche, di quegli animali divenuti, in certo modo, anfibii; la placidit
Andando innanzi, si comincia a veder paludi, grandi stagni, zone di terra limacciosa, attraversati da canali d'acqua nerognola, fossi lunghi e profondi come trincee, mucchi di glebe color di bitume, qualche barcone, qualche creatura umana. Sono i campi di torba, il cui solo nome suscita nella mente mille immagini di avvenimenti fantastici: i lenti ed immensi incendi della terra; le praterie galleggianti coi loro abitanti e i loro animali sulle acque degli antichi laghi; le foreste erranti pei golfi; i campi staccati dal continente e turbinati dalle tempeste del mare; le immense nuvole di fumo che dalle torbiere arse della Drenta, il vento del nord spande sulla met
La Frisia è tutta una pianura, d'un terreno misto di sabbia, d'argilla e di torba, bassa in ogni parte, e sopratutto a occidente, dove non di rado, verso la fine d'autunno, le acque del mare si spandono su grandi spazi. Vi sono moltissimi laghi, i quali formano come una catena a traverso tutta la provincia dalla citt
Giungono al vallo de l'orrenda uscita, Perde l'onda il nativo impeto, e pigra, Torba, pollente s'impaluda, e manda Pestiferi mïasmi a chi la spira. Quivi, al fin del suo dir, contenne i passi L'umanato Demonio, e con feroce Piglio di scherno a contemplar si stava L'orrido sito e il ciel. Da le profonde Viscere allor del cieco antro una voce Querula, lunga, dolorosa emerse Come suon di sospir. Porse l'orecchio, E s'appressò l'Eroe, quanto il permise L'angusto varco e la stagnante gora, Ed ascoltò: Di che perigli in cerca, Misero! vai? Che stolta opra e che vano Talento è il tuo di proseguir l'impresa, Ch'io gi
E mi guardava, fisso. Era il mio volto, sôrto da un abisso d’ombra, e riflesso in torba acqua verdastra: nuovo a me, dal grande arco delle ciglia al labbro acceso: cerchio inebriante d’enigmi, ove affondavo il cuor tremante: ed ora è tuo perchè il trasmetta, o figlia.
Parola Del Giorno
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