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Aggiornato: 27 maggio 2025


«L'altro ieri fui al cimitero a deporre una ghirlanda di semprevivi sulla tomba del tuo povero babbo. Credimi, Roberto, l'epitaffio che hai fatto incidere sopra la lapide è troppo semplice. Mariano Arconti meritava di meglio. E tu dirai ch'è vanit

Appena entrato, vidi lo splendido mausoleo di Guglielmo il Taciturno; ma il custode mi arrestò dinanzi alla tomba semplicissima di Ugo Grotius, il prodigium Europæ, come lo chiama l'epitaffio, il grande giureconsulto del secolo XVII; quel Grotius che scriveva versi latini a nove anni, che componeva odi greche a undici, che trattava tesi di filosofia a quattordici, che accompagnava tre anni dopo l'illustre Barneveldt nella sua ambasciata a Parigi, dove Enrico IV, presentandolo alla sua corte, diceva: «Ecco il miracolo dell'Olandaquel Grotius che a diciott'anni era illustre come poeta, come teologo, come commentatore, come astronomo e faceva una prosopopea della citt

Messo a mal partito poi si ritrattò affermando così avere sostenuto non per suo convincimento, bensì secondo la opinione di Aristotele, ma ei mentiva; materialista incurabile lo chiariscono le sue opere tutte, e per fine l'epitaffio, che, da lui stesso dettato, gli posero sopra la tomba.

Respinto dalle cariche, isolato dalla diffidenza, colpito dai dispregi, vecchio, povero, solo con se stesso, col suo ingegno, col suo cuore, colla sua anima, Macchiavelli avrebbe potuto, sentendosi grande e calunniato, scrivere il proprio testamento politico e dettare così l'epitaffio per la tomba che aspettava la repubblica fiorentina. Non lo fece, non lo poteva fare.

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