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Aggiornato: 23 maggio 2025


E volente, o no si sarieno rinnovati i recenti orrori del contestabile di Borbone, ed i più antichi dei Goti; e a questo modo la pensa anco il Campana, il quale dichiara quanto allo assalto notturno degli Spagnuoli il cardinale Caraffa averne avuto odore dal segretario Placidi, e quanto al sacco essere cosa ormai stabilita fra i Tedeschi che si trovavano col duca di Ala. I Romani commossi dal pericolo con vivissime istanza, che facevano sentire la violenza, chiesero al Papa smettesse la guerra; ma questo vecchio indracato li chiamò vili, ribaldi, degeneri da quegli antichi Romani, che innanzi di sottomettersi ai Goti elessero morire di fame, ma a fiaccargli l'orgoglio giunsero a un punto la nuova della sconfitta dei Francesi a San Quintino, e il richiamo del Guisa, il quale si mostrava tanto di cotesta impresa ristucco, che a cui non voleva saperlo andava dicendo: « manco con le catene lo avrieno tenuto in ItaliaIl Giusa pertanto in compagnia dello Strozzi fu dal Papa, ed espostagli la condizione delle cose lo confortò alla pace: narrasi, che udite le costui parole con mal piglio il Papa dicesse al Giusa: «Andate via, e con voi rimanga il convincimento di avere operato poco in pro' del vostro re, meno per la Chiesa, niente per l'onor vostroLa pace sforzata in virtù di questi casi venne conclusa, non però senza contrasti attese le esorbitanze del Papa, che per primo patto volle andasse il duca di Alba a chiedergli perdono a nome del suo re, e a quante rimostranze gli movevano per procedere più temperato rispondeva: «caschi il mondo, io non ci renunzio, non mica per me, sibbene per l'onore di Gesù CristoCome s'egli fosse Cristo, e a Cristo premessero onori siffatti; il duca che fumava di superbia non meno di Paolo stava duro a respingere il patto, ma venutogli dal re ordine espresso di accettare, piegava la testa: si recò a Roma, si genuflesse al Papa, gli baciò il piede; tuttavia levatosi ebbe a dire «hoggi il mio re ha fatto una grande sciocchezza, e se io fossi stato in suo luogo, et egli nel mio il Cardinale Caraffa sarebbe andato in Fiandra a fare quelle stesse sommissioni a Sua Maest

Roma caduta in queste angustie ecco piglia partito: Pio IV astuto subodora uno astuto, il cardinale Morone, e lo invia a negoziare con Ferdinando; lui vinto, agevole ogni cosa, però che con lui i Francesi si accontassero, e Filippo II per sangue, e per reverenza assai gli deferisse. Duro intoppo non chè persuadere, blandire lo imperatore, il quale si mostrava indracato perchè delle sue proposte di riforme non avessero fatto caso, e perchè il Papa, mercè le istruzioni ai legati governasse a modo suo il Concilio, e tuttavia il destro prelato sul primo punto diede ad intendere, che se le proposte dello imperatore non erano state messe innanzi al Concilio, non si poteva sostenere poi che non si fossero avute nella considerazione, che meritavano, imperciocchè talune di loro avessero fornito argomento a speciali decreti: non potersi negare e non negava la ingerenza soverchia di Roma nel Concilio, ma i Principi via, co' propri ambasciatori non s'industriavano sempre scavalcare Roma? E quì il cardinale usò l'estremo dell'arte pretesca, e della sottigliezza italiana per dare ad intendere a Ferdinando ch'egli voleva gittarsi nelle sue braccia, in tutto e per tutto contentarlo, e al punto medesimo non cedergli un capello quanto ad autorit

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