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Aggiornato: 16 maggio 2025
Al primo salpare, specialmente per un lungo viaggio, il bastimento dava il segno della partenza col solito tiro di leva²⁰², colpo di cannoncino: e tutti sapevano che un legno lasciava il porto. Una canzonetta del tempo, che ogni giovane bacato d’amore cantava alla sua bella nelle serenate estive, così frequenti allora, avea questi versi da colascione: ²⁰² Pippo Romeo, Raccolta di Cicalate, p. 43.
Che ci vuoi le ciarammelle e lo colascione? SPAGNOLO. Á vos digo, bodeguero, gente malvada, que me dais mis ropas. GIACOCO. Dice ca simmo potecari de marva. Nui simmo potecari de vernecocche e de nespole e le vendimmo a buon mercato. Ha la capo tosta, ha pigliato la zirria de non se partire. GIACOMINO. Cappio, con un pugno fagli cadere un dente.
E il poeta, che sente oramai stracco il suo colascione, dá fine al canto con un paio di versi, tutti novitá di pensiero, tutti eleganza di modi: Imparate giustizia, o genti umane, e non spregiar le deitá sovrane. E tu perdona a me se ti ho fatto ingozzare tutto questo episodio.
Quattro cattivi versi corsero in proposito: T’haju fattu la varva, o San Ginnaru, Giacchì t’ha’ fattu giacubinu amaru, Tradituri, putruni e da quagghiaru; Viva, dunca, Rusulia e non Jinnaru!¹⁸¹. ¹⁸¹ Villabianca, Diario ined., a. 1798, p. 284; a. 1799. p. 103. La misura lasciamola all’ignoto poeta da colascione.
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