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Aggiornato: 19 maggio 2025
Al più occorreva, per non perdere la preda, avanzare le guardie nella discesa; una volta padroni dei camosci, a nasconderli ci pensavano essi. Il Balmet non perdeva d’occhio il nemico.
Un giorno, sul finire della primavera Gregorio Balmet e Vincenzo Marquettaz detto il Rosso, partirono per le vette della Nouva, colle altissimo che si connette alla punta di Lavina e di l
Due grossi pallettoni lo avevano colpito all’avambraccio sinistro ed alla coscia sinistra ed erano usciti tutti e due, quello del braccio rigando profondamente la carne, e quello della coscia lacerando certo qualche muscolo o qualche nervo motore. Balmet prese un pugno di neve e lo cacciò nelle ferite dopo averle denudate; il Rosso lasciava fare imprecando sempre colla stessa parola ai feritori.
Come vi fu adagiato, il Balmet gli diede la fiaschetta dell’acquavite, un grosso pane, uno straccio di carne salata, si levò di dosso la giacca di lanaccia, gliela pose sulle spalle, gli promise che sarebbe tornato al più presto con aiuti, e via a precipizio per la più diritta.
Stavano per tornare quando il Balmet accennò subitamente al Rosso la cresta opposta del burrone dicendo:
Su dal burrone gli era giunto il rumore di pietre smosse e rotolanti. Guardò di nuovo. Due dei camosci erano scomparsi ed un uomo, il Balmet di certo, stava curvo sull’ultimo per caricarselo a spalle. Non lo ravvisò per l’ombra e la distanza, ma non poteva essere che lui. All’urlo ruggente ch’egli mandò a quella vista, l’uomo levò la testa, guardò in alto, poi riprese l’opera frettoloso.
La mattina era ancora vivo: il giorno gli tornò qualche speranza remota, e sovratutto una lucidezza nettissima di mente. Del Balmet era inutile sperare; ma le guardie fatto il colpo erano forse discese a denunziarlo e l’autorit
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