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A proposito della rappresentazione del Gian-Gabriele Borckman dell'Ibsen è stata rammentata la risposta di Ermete Zacconi ai critici tedeschi che lo accusavano di eccessivo verismo patologico negli Spettri dello stesso autore.

Mettere a fianco a fianco sulla scena Zacconi, la Duse, e Mayol, Sarah Bernhardt e Fregoli. Eseguire una sinfonia di Beethoven a rovescio, cominciando dall'ultima nota. Ridurre tutto Shakespeare ad un solo atto. Fare altrettanto con tutti gli attori più venerati. Far recitare Ernani da attori chiusi fino al collo in tanti sacchi.

Tutto questo non mi ha allontanato troppo dal mio soggetto, cioè dalla risposta di Ermete Zacconi ai critici berlinesi. Dicendo che nell'Ibsen l'ultima cosa da considerarsi era l'artista, Zacconi si dava la zappa sui piedi. Un lavoro teatrale dove la forma sia l'ultima cosa da considerarsi, non è opera d'arte.

Tradotto in parole più semplici e più chiare, questo significa: Vi sono opere d'arte sbagliate, dove il concetto non è riuscito ad assumere la forma che gli spettava. Le opere drammatiche dell'Ibsen sono di questa categoria. Nella rappresentazione di esse si deve quindi badare più al pensiero che alla forma... In che modo, io sarei curiosissimo di apprenderlo dallo stesso Zacconi.

E i critici berlinesi avrebbero potuto soggiungere: Ma, in questo caso, è assurdo che voi lo scegliate per rappresentarlo... o avete la grande superbia di credervi capace d'infondere la vita in una cosa morta. Invece Ermete Zacconi giudica male e razzola bene.

Se lo Zacconi si fosse contentato di dire soltanto: L'Ibsen ha voluto così quel personaggio di Osvaldo e, ove gli fosse sembrato necessario, si fosse spinto fino a dimostrarlo, la risposta sarebbe stata degna di quel grande artista che egli è.