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Faceva venire voglia di vomitare. Nel piccolo spazio tra l'uscio e il tavolazzo, pareva di essere in una marcita. Gli sputi di tutta quella gente che masticava il tabacco avevano ridotto il terreno molle e sdrucciolevole. Coi piedi nelle pozzanghere si stava malaccio. Si sentivano i reumatismi venire su per le gambe. Non si poteva camminare perchè eravamo in troppi.

LIMERNO. Ah volto di tavolazzo, ubriaco che tu ti sei! presumi tu forse di tanta sufficienzia essere che tu poscia la sublimitade de la toscana lingua diminuire? MERLINO. Ah muso di giottone e forca che tu ti sei! ardisci tu dunque cotanto lodare lo stile petrarchesco e boccacciano, che la romana eloquenzia, non essendo da te nominata, da te riporti infamia?

Portamene un'altra e dammi un'altra penna. Alla mattina ci svegliammo con le ossa rotte. Avevamo sulla faccia il colore di una notte trambasciata. Ci eravamo coricati sul tavolazzo, vestiti come eravamo entrati, e lungo la notte il sonno ci era stato interrotto centinaia di volte.

Quando tiravo su il piede per poggiarsi sulla gamba, sentivo il «ciac» della palta che si staccava dalla suola. I muri sudavano. Era un sudore che restava alle dita come la gomma. Sul tavolazzo non si stava meglio. I seduti dovevano tenervi le gambe piegate fino agli occhi con le dita allacciate. Quando c'era qualcuno che aveva bisogno di spandere acqua, si voleva morire.