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Chiesi pensava alla sua mamma, Federici alla sua signora e alla sua bimba che spasimava di vedere, don Davide alla sua Teresa, la sorella che lo idolatra e Suzzani a sua madre che nominava sovente. Potevamo star su fino alle dieci. Alle otto eravamo tutti a letto. Chiesi russava maialescamente da dieci minuti. Gustavo Chiesi. Gustavo Chiesi è uscito dalle pagine di Mazzini.

Lunedì Lazzari, martedì Federici, mercoledì Valera, giovedì Chiesi, venerdì Ghiglione, sabato don Davide, domenica Suzzani. È un movimento igienico. Si puliscono e si mettono a posto i tavoli e si scopa due volte il giorno. I più volonterosi e i più abili sono indubbiamente Lazzari e Federici.

Il solo che non avesse alterato la figura era il sacerdote. Gli altri pareva che fossero stati in un'altra stanza a truccarsi o a cambiarsi la testa. Gustavo Chiesi, grasso e grosso, aveva del frate Melitone. Il buon Suzzani che si chiamava, con compiacenza, «compagno di Carlo Marx» aveva assunta l'aria d'un abatino pieno di modestia.

Suzzani ricominciò a percorrere lo stanzone senza zuffolare l'inno dei lavoratori, la sua aria favorita che ci regalava dalla mattina alla sera senza perdere di lena e Ghiglione, il tremendo Ghiglione che aveva sobillato con fervore i terrazzani di Niguarda, si era gettato a capofitto in un manuale di musica da quindici centesimi. La colazione passò nel silenzio.

Federici allargava la zona dei suoi studi nella letteratura di altre lingue, in manica di camicia, senza mai smettere, senza mai aprire bocca, come se fosse stato obbligato dal regolamento carcerario a divorarsi un dato numero di pagine, e Giovanni Suzzani si sprofondava nei romanzi dell'editore Aliprandi, scoppiando talvolta in risate così plateali e così rumorose che costringevano il secondino di guardia a buttare per il buco un ordine imperioso: Silenzio!