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Senza più ascoltare, assorto, io apersi quel libro, lo sfogliai qua e l
Vedilo; e m'indicò un albo di ritratti. L'apersi, e lo sfogliai rapidamente; m'arrestai all'immagine d'un giovine. È lui! esclamai con convincimento interrogando a un tempo Raimondo collo sguardo. È lui, ripetè Raimondo guardando alla sfuggita. Ne so abbastanza, io vado. E strinsi la mano a Raimondo come per lasciarlo. Mi rattenne indeciso. S'egli non l'avesse amata, s'egli almeno non l'amasse!
Fu verso quel tempo che io lo conobbi. Scrivevo allora, qualche volta, in una rassegna letteraria messa su da giovani con grandi speranze e poi miseramente scomparsa. Un giorno mi capitò fra mano un saggio, senza nome di autore, intitolato Filosofia del subbiettivo. Lo sfogliai, non lo nascondo, con un sentimento ostile; ma dovetti tosto ricredermi. Le idee non erano molto connesse, la forma riusciva penosa a furia di tormentature e di contorsioni, la lingua era zeppa di neologismi e di frasi tolte di peso dal tedesco; ma dietro tutto ciò si sentiva il pensiero e l'erudizione. In breve, l'idea dell'autore era questa: l'unico campo del nostro studio, l'unico oggetto che noi abbiamo a nostra portata, siamo noi stessi; il mondo non è che un miraggio della nostra coscienza: non corriamo dunque dietro all'illusione, afferriamoci alla realt
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