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Quando infine Bombita impugnò la diritta spada e la «muleta» fiammeggiante per dar morte all’ultimo suo toro, una spettacolosa ovazione sollevò l’anfiteatro. Ma di nuovo la sorte gli fu singolarmente avversa.

Fu allora che si vide Bombita leggermente balzare tra il furioso vortice di mantelli che non riuscivano a distogliere il toro, gettargli proprio su gli occhi la sua cappa disciolta, che il toro v’inciampava, e con mille astuzie rapidissime, agili, pericolose, trarselo dietro sorridendo, raccogliendo nella fallace cappa le sue furibonde cornate, finchè, nel mezzo dell’Arena, battendo il piede imperiosamente, l’espada lo fermò.

Adesso ancora stavano di fronte, la bestia e l’uomo, proprio davanti a noi. Tre volte l’animale, fermo su gli appiombi, chinò la testa, e tre volte Bombita, appoggiando l’elsa della spada fra la bocca e il mento, prese la mira. Ma invano; poichè l’indocile bestia ogni volta gli rompeva contro, sferrando cornate. Allora bisognava ch’egli ricominciasse a giuocar di mantello, a rigirarlo, di qua, di l

Non altrimenti avrebbe ora la Spagna onorato il giubileo del taurómaco Bombita: nella storia del secolo ventesimo questa era, fra mille, un’altra gloria che passava.

Poi si mise con rabbia davanti alla bestia ferita, mirò pochi secondi, scagliò diritto e fulmineo il suo terzo colpo di spada. Il toro gli spruzzò di sangue la mano ed il viso. Bombita, lentamente, si avvicinò all’avversario. Questa volta il colpo era stato profondo, giusto, mortale.

Bombita battè col piede la terra, quasi per chiamarlo a , poi, con baldanza, come si srotola una bandiera, sciolse la sua «muleta» fiammeggiante. Stavano soli, di fronte: l’uomo, sottile come un serpente, il toro, quadrato e sinistro nella sua poderosa immobilit

Nell’atmosfera dove tanta folla respirava si fece un silenzio trepido e grande, mentre i fotografi correvan nel corridoio circolare lungo la palizzata per tramandare ai posteri uno fra que’ mille colpi di spada che resero celebre il taurómaco Bombita.

Su le sue lunghe ginocchia, raccolte presso le mie, si distendeva, come una sottile striscia di broccato, un raggio di sole. Usciva in quel mentre l’ultimo toro della giornata, l’ultimo che avrebbe morte per mano di Bombita nella Plaza di San Sebastiano. Era un quadrato animale, corto e ruvido, con la cotenna irsuta come la crescente criniera d’un lioncello.

Le trombe allora suonarono la messa a morte. Bombita, col suo drappo di porpora e la bellissima spada serrata nel pugno invincibile, si presentò con brio davanti al pulvinare, si scoverse il capo, tese in alto il braccio e brindò il toro ad una persona che non vidi potei scoprire chi fosse, ma certo un alto dignitario, forse il presidente medesimo delle corride, oppure una famosa bella donna.

Fosse colpa della sua manìa d’eccellere o fosse difetto nella guisa di combattere del toro, Bombita mancò la prima volta quel suo colpo di spada, che, se fosse stato mortale, mi avrebbe fatto assistere senza dubbio al più grande spettacolo di delirio popolare, al più caratteristico esempio di trionfo circense del quale mai potessi conservare la memoria.