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Istintivamente il cavalier Cipicchia sentì nel cuore un misto d'ammirazione e d'affetto per la vedova Barbetti, provò un senso acuto di rispetto e di desiderio per quella donna così colta, e fece di tutto, anche delle vigliaccherie, per discorrere tutta intera la serata con lei.... Ah, era proprio una donna che comandava l'ammirazione.

Il grido partiva dal cuore, e Ignazio Cipicchia aveva ragione: per quanto varia, l'erudizione di donna Eleonora diventava assolutamente asfissiante. In una bella giornata di maggio, la signora Eleonora vedova Barbetti, piena di mellifluit

Quel giorno, c'era un po' di Catullo, un po' di Orazio, nel cavalier Cipicchia. Ma, tutto sommato, forse, un Orazio.... Fiacco. Alle tre, giunse al villino Barbetti, con un caldo formidabile, sotto il sole scottante, che lo faceva andare in acqua dal sudore.

L'ultimo giro fu ancora funestato da qualche reminiscenza dei giochi fenicii e ateniesi; ma, finalmente il cavalier Cipicchia, gentilmente accompagnato dalla vedova Barbetti e dalla cognatina, si avviò alla stazione di Frascati e pregustò internamente la prossima ora della sua liberazione.

Questo intimo sfogo del cavaliere Ignazio Cipicchia, basta a spiegare, se non a giustificare, l'entusiasmo con cui, una sera, in casa Menichelli, fece conoscenza con la signora Eleonora Barbetti, vedova del sempre compianto professore Lorenzo Barbetti, che in suo vivente stampò dottissimi opuscoli, non conosciuti, come al solito, che in Germania.

Poi, si coricò anche lui, dormì e sognò che la signora Barbetti gli traduceva e gli spiegava, una per una, le settantamila pelli di bue dello Zendavesta. Per quindici giorni di seguito, il cavaliere Cipicchia fece una corte onesta , ma ostinata, implacabile, alla vedova Barbetti, che sera per sera lo seppelliva sotto cumuli enormi d'erudizione enciclopedica.