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Quel giorno, c'era un po' di Catullo, un po' di Orazio, nel cavalier Cipicchia. Ma, tutto sommato, forse, un Orazio.... Fiacco. Alle tre, giunse al villino Barbetti, con un caldo formidabile, sotto il sole scottante, che lo faceva andare in acqua dal sudore.

Il cavalier Cipicchia rimase dolcemente atterrito, davanti a questo miracolo di donna, che gli esplodeva freddamente una massima di Schiller come se niente fosse, e pensò: Dio! che felicit

Il cavaliere Ignazio Cipicchia, deponendo le sue sofferenze morali nel gilé d'un amico d'infanzia, gemeva con accento malinconico: Ho sposato un'oca, credi, una vera oca.... ma che dico?

La cosa, anzi, prese tal piede, che il cavalier Cipicchia, nelle espansioni versate nel solito gilé dell'amicizia, in capo a due settimane ebbe a dire: È un portento, quella donna!... non ho mai sentito nulla che.... anzi, se proprio l'ho a dire, è persino troppo. Davvero? Ah , troppo!

E mentre il convoglio si metteva in moto, il cavalier Cipicchia udì ancora confusamente questi nomi lanciati nell'aria: Papin.... Watt.... Robinson.... Stephenson.... Giunto a casa sua, Ignazio trovò Felicetta in cucina, e profondamente commosso, l'abbracciò due o tre volte. Ti sei divertito? le chiese lei, con la sua consueta espressione di stupido candore. Non tanto, e tu che hai fatto?

Appena avvenuta la presentazione nelle forme consuete, donna Eleonora soggiunse: Cipicchia!... lo scultore? Nossignora: lo scultore è mio cugino. Allora: avvocato? Neppure: io non fo niente. Niente? male. Schiller, il grande Schiller, dice: L'ozio non è che il disprezzo della vita.

Ah, questa è graziosa tanto, esclamò Mario, con un riso cadaverico. Non si è mai abbastanza ignoranti. Fra i cavalieri della corona d'Italia, Ignazio Cipicchia era il più infelice di tutti, a causa del suo matrimonio con Felicetta Cobianchi, per quanto lei, poveraccia, osservasse scrupolosamente i suoi doveri di donna, di cittadina, di sposa e di futura madre di famiglia.

Questo intimo sfogo del cavaliere Ignazio Cipicchia, basta a spiegare, se non a giustificare, l'entusiasmo con cui, una sera, in casa Menichelli, fece conoscenza con la signora Eleonora Barbetti, vedova del sempre compianto professore Lorenzo Barbetti, che in suo vivente stampò dottissimi opuscoli, non conosciuti, come al solito, che in Germania.

Istintivamente il cavalier Cipicchia sentì nel cuore un misto d'ammirazione e d'affetto per la vedova Barbetti, provò un senso acuto di rispetto e di desiderio per quella donna così colta, e fece di tutto, anche delle vigliaccherie, per discorrere tutta intera la serata con lei.... Ah, era proprio una donna che comandava l'ammirazione.

Tornando a casa, il cavalier Cipicchia, nello slacciarsi la cravatta, guardò la paffuta Felicetta, che russava a bocca aperta, e mormorò con accento di profonda commiserazione: Donna virtuosa ma inconsapevole, hai tu il più lontano sospetto che l'umanit