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Aggiornato: 19 maggio 2025
Ancora, Lidia fu una delusione per Silesia, per quanto questa s'affrettasse a salutare ossequentemente; ma certo pensò che se avessi sposata lei, avrei fatto miglior negozio.
Un ultimo incidente segnò la vigilia della partenza. Avevo raccomandato a Silesia che provvedesse a prepararci le bagaglie, e tornando da un'escursione d'addio, trovai invece le due cameriere dell'albergo, che si limitavano ad aiutar Lidia, la quale faceva i bauli da sè. Chiamai questa nella mia camera, e la pregai di lasciar fare ai domestici. Come! esclamò Lidia stupita. Non vuoi ch'io sorvegli?
La signorina Silesia Pfaff, dopo aver discusso alcun poco in dialetto grigione col padre, mi s'era rivolta dicendomi in italiano sgangherato che il padre non capiva e che se volevo porre un'epigrafe sul piccolo albergo, la dettassi a lei. Fu così che sul ricovero di pace e di salute lampeggiò in lettere d'oro l'iscrizione: VENITE, DOLENTES.
Sulla soglia, la signorina Silesia Pfaff, coi capelli neri accuratamente ravviati e la tipica faccia rubiconda, comparve insieme a Leo, il grosso cane di Terranova al quale ero insoffribilmente antipatico. La signorina mi porse la mano, Leo m'abbajò contro, secondo il solito.
Sul cominciar di settembre, donna Teresa ci scrisse, manifestando il desiderio di riveder Lidia e mi parve opportuno cedere alla preghiera nonostante che Silesia Pfaff e suo padre si rammaricassero assai della nostra partenza. Perchè così presto, quest'anno, signor Lacava? osservò Silesia, all'annuncio.
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