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Aggiornato: 13 maggio 2025


TIGEL. Il tuo signor per anco tal non ti crede; e, ad innocente farti, non bastava il munir di velen pria Eucero, e tutte le tue conscie ancelle, , che ai martir non resistesser: gli hai tolti ai tormenti, ma a te stessa il mezzo di scolparti toglievi... OTTAV. Or, qual novella menzogna?... TIGEL. Omai vieta Neron, che fallo non ben provato a te si apponga.

CAPPIO. Anzi tu stesso cerchi la tua rovina: hai la ventura innanzi e non la conosci. LARDONE. Nol farò mai. CAPPIO. Per che ragione? LARDONE. Perché scoprendosi sarò appiccato. CAPPIO. Questa tua ragione è senza ragione, perché non basta a scoprirsi mai. L'inganno è tanto riuscibile che se pur si scoprisse, avemo molti modi di scolparti.

Mi metti alla porta? esclamò Adolfo. Invece di scolparti, invece di giurarmi che col conte non c'è stato nulla di nulla, tu mi metti alla porta? Scusi, perchè dovrei scolparmi? Che cosa rappresenta, lei? Chi è, lei? Che diritto ha lei di giudicarmi? A queste parole di Loredana, Adolfo si lasciò calare in una poltrona, come annichilito. Chi era, che cosa rappresentava, che diritto aveva?

TIGEL. Impone a te Nerone, o di scolparti a un tempo dei sozzi amori, e de' sommossi duci, e degli audaci motti, e delle tante tese a Poppea, ma invano, insidie vili, e del tumulto popolare; o vuole, che rea ti accusi: a ciò ti dona intero questo venturo . OTTAV. ... Troppo ei mi dona. Vanne, a lui torna: e pregalo, ch'ei venga quí con Poppea.

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