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Una sete inestinguibile di vendetta ardeva quella donna veramente terribile nelle sue sfrenate passioni, una smania feroce l'agitava, una smania di schiacciare l'arabo prima e la sua rivale dopo, che l'avevano offesa nel suo orgoglio e che le avevano straziato il cuore. Ella percorse l'oscuro corridoio come un lampo e s'arrestò dinanzi ai due dongolesi. Il prigioniero? chiesero.

Abd-el-Kerim sentì mancarsi le forze. Esitò, volle fuggire, ma gli fu impossibile e si spinse macchinalmente innanzi, senza fare il menomo rumore. S'arrestò a pochi passi dall'almea che continuava a sbattere il tamburello con un ritmo cadenzato e malinconico. Egli tese le braccia avanti. Fathma!... Fathma! mormorò con voce tremante. L'almea si volse verso di lui. CAPITOLO V. Il Rapitore.

Dieci e più volte s'arrestò, per paura di smarrirsi fra le gallerie che si succedevano le une alle altre sempre più tortuose, ma la speranza di trovare uno sbocco e la tema di ricadere nelle mani di quel mostro che chiamavasi Notis e nelle mani della vendicativa Elenka, lo spingevano suo malgrado innanzi.

Fermi tutti, disse Elenka con un tono di voce che non ammetteva replica. Fece inginocchiare il suo mahari, saltò a terra e si internò silenziosamente nella macchia fino a raggiungere il lembo estremo. Ella s'arrestò cogli occhi fissi su due uomini che si dirigevano a lenti passi a quella volta.

Drizzò i propri passi, così furibondo com'era, alla riva del mare, sali su d'un sasso che sporgeva sull'acque, protese le braccia, guardò in giù, e.... s'arrestò tutt'a un tratto, rinculò, discese ratto, e si diede a fuggire come da un nemico che lo inseguisse.

Procedette col muso verso terra, con passo sciancato quasi da credere che fosso ferito e fissò due grandi occhi verdastri sull'almea che tremava in tutte le membra. Era una jena mostruosa, la quale s'arrestò a pochi passi di distanza mandando atroci scrosci di risa.

S'arrestò vicino alla porta prendendo l'altra pistola, risoluto di difendersi sino all'estremo prima di farsi ammazzare e guardò se il nemico s'avanzava. Non distinse nulla ma udì le grida minacciose dei beduini e i loro passi. Un freddo sudore gli colò sulla fronte e un tremito di spavento e d'angoscia lo prese. Sono perduto, mormorò egli.

Ed avendogli ella piú volte detto che nel fatto dell'onor non volea esser molestata in conto veruno, che altrimente si partirebbe, ed egli non restando di noiarla, non s'arrestò di quanto l'avea minacciato: onde, per fuggir gli disonesti assalti del padrone, se ne fuggí di casa sua e se ne venne con la bambina in Raguggia, dove dimorò tre anni.

Tese gli orecchi, ma non udì che il fragoroso russar dei negri che dormivano sotto le tende e il sibilo del vento che agitava gli stendardi infioccati. Tutti dormono, mormorò egli. A noi due, o mio incognito rivale! Attraversò il campo e s'arrestò alle prime capanne di Hossanieh.

Traversò due grandi sale; alla terza s'arrestò di botto e sentì le ginocchia piegare sotto il peso dell'emozione. Tre altri uomini signori questi erano nella sala. Appena lo videro, uno di essi, un gentiluomo piccolo, grosso, tarchiato, con due occhietti cattivi, s'avanzò verso di lui. Vecchio! egli disse, voi siete un servitore della casa?