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Aggiornato: 21 maggio 2025
In questo punto rientrò Falco, che mestamente narrò l'occorso caso, per il che Messer Tanaglia, obbliando gli scudi e gli emblemi, mostrossi con tutti gli altri sommamente afflitto, di null'altro lungo il giorno ragionando che della morte di Grampo, che per cause diverse riusciva a ciascuno di grave cordoglio.
Intanto da tutti gli spaldi s'era accuratamente guardato se vi fossero nemici sotto le mura o nei luoghi e pei monti vicini, s'era osservato se vi stessero scale od insidie presso il Castello, ma non s'era veduto ombra d'uomo: tutto era tranquillo, nè udivasi quasi un movere di foglia. Fatte per ciò ricollocare le guardie ai primi posti, i Capitani s'affrettarono parte intorno al Cancelliere, e parte presso Gabriele onde udire come mai fosse nato quell'avvenimento. Ma Maestro Tanaglia, pallido, tremante e contraffatto, piegando il capo alternativamente ed allargando le braccia, non sapeva altro dire con affannosa voce se non che "Le capitano a me... sono pure un uomo sfortunato!... tre Milanesi costringermi a forza ad essere complice in un fatto simile!... a rischio... oh! ma, mi credano, io sono innocente... povero Tanaglia! povero Tanaglia!" Gabriele all'incontro, non agitato ed alterato se non quanto l'ira e la foga del sostenuto combattimento necessariamente il volevano, appoggiato alla propria spada, narrò succintamente tutto l'occorso, dicendo però d'ignorare affatto, come era il vero, chi si fossero quei tre, come penetrati nel Castello, e in qual modo col
Ripiglio ora l'avvenuto presso il Duca di Lodi, Melzi. Mentre io seco dialogava, inutilmente procurando persuaderlo sulla vera natura delle circostanze, furono annunciati due o tre senatori, che, se la memoria di quei tumultuosi e rapidi eventi non mi inganna, erano il conte Cavriani ed il conte Veneri Presidente. Questi, riferendo l'occorso, ed io con essi secondando, tanto dissimo che il Duca di Lodi incominciò a persuadersi essere le cose spinte a tal punto che sommamente interessavano l'attenzione di qualunque non fosse affatto privo di senno. Fra le molte cose parlarono essi del pericolo nel quale era il senatore Prina: il che era confermato da quanto io in proposito aveva di gi
Ecco; entrò a dire il Bonisconti, mettendosi a cavalcioni su di una sedia rivoltata davanti a loro. -Parlo io, per farla più breve. E raccontò in modo sbrigativo l'occorso, esponendo da ultimo il bisogno di ricordare che questi gli aveva fatto servizio una sera, alla birreria di Valdocco, difendendolo da una brigata di malintenzionati, mentre era in cimberli, e lì lì per soccombere.
Unitosi pertanto di nuovo il Senato la sera e montato alla tribuna il conte Dandolo, fece al Senato a nome della commissione formale rapporto e propose la riforma del decreto alla sanzione dei senatori. Qui grande discussione insorse: molto parlò il senatore Paradisi e con lui il senatore Prina, tentando con mille ragionamenti d'indurre il Senato a determinazioni piú analoghe al primo progetto; ma inutili furono i loro sforzi, persistendo il Senato nell'opinione della commissione. Sarebbe troppo lungo il riferire quanto fu detto; né io ora saprei colla necessaria esattezza narrare tutto l'occorso. Baster
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