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Aggiornato: 10 giugno 2025
Nel secolo XVI era fra il popolo più familiare l'Ariosto che il Tasso. Montaigne nel suo Viaggio in Italia racconta avere udito, passando per le strade maestre, i contadini nei campi, che cantavano l'Orlando Furioso.
Poi seguitò il progresso e si sparse nell'Europa, nè io qui mi fermo allo sbocciar del fiore nel secolo della magnificenza. Ma che voglion dire Marsilio Figino e Pomponazzo e Villanuova, mentre ancora il Poliziano, l'Ariosto ed il Tasso, classico per eccellenza e rigido e superbo d'ottave, squillavano? Cui tendeva la riforma luterana, cui attingevano Bacone e Shakespeare e Milton? La civilt
Ciò per la scelta così come pel numero. I classici da Omero a Menandro, da Tucidide a Plutarco, rappresentati nei più profondi e nei più fantasiosi; i nostri poeti, un bel Dante coi commenti del Portirelli, legato in oro, e l'indice della Divina Commedia del Volpi; un Boccaccio, ad edizione non purgata. i poeti minori, l'Ariosto. Notai l'assenza di messer Francesco e del Tasso.
Ora di Lione X. Piuttosto che lamentare inopia, patiamo abbondanza di scrittori intorno a lui, e non pure vari ma contrari; però di questo Papa possiamo dire quello che cantava l'Ariosto di Augusto: «Non fu sì savio, nè benigno Augusto «Come la tromba di Virgilio suona. «L'avere avuto in poesia buon gusto «La proscrizione ingiusta gli perdona.
Orbene, ripigliai, sentite la mia opinione. Mi par d'essere in una casa incantata. C'è nell'Orlando furioso, ed anche nelle Mille e una notte, d'onde l'Ariosto ha cavato tante altre belle cose, la storia di un'isola, dove tutti gli abitanti erano rimasti di sasso. Qui mi sembra di vedere un caso consimile. Ci sono delle persone gentili, molto gentili, ma in modo tutto lor proprio, che non è quello del comune degli uomini. Accolgono con affabilit
Lassù la moda non era giunta, o non aveva attecchito; i gusti particolari favorivano l'Ariosto ed il Tasso. Gino Malatesti s'aspettò di veder capitare da un momento all'altro Bradamante e Clorinda, Ginevra ed Erminia. Ma nessuna altra donna apparve nella sala da pranzo, e non fu neanche il caso di veder comparire nessun Ruggero o Mandricardo.
Mentre egli pensava, un'altra figura di donna apparve nella sala. Capitolo III. Tra l'Ariosto e il Tasso.
L'invidia è una droga, che entra in tutte le pietanze, e non v'è anima al mondo, che non l'abbia assaggiata. Comincia dall'infanzia; voi la vedete anche fra bambini quando si rubano l'un l'altro un dolce, od un giocattolo. Vita mortal, tutta d'invidia piena scrive l'Ariosto. Naturalissimo pertanto che un pochino d'invidia, nutrisse anche il buon Commendatore.
I più celebri capitani dell'epoca, quelli che dovevano illustrarsi nel gran secolo di Carlo V, spagnoli, francesi, italiani, tedeschi, il fior fiore dell'aristocrazia, tutti presero parte alla battaglia. Un grande poeta, l'Ariosto, si trovava nel campo del duca di Ferrara, e colui che più tardi doveva essere papa Leone X, allora legato, fu fatto prigioniero.
Egli aveva visto Concettella staccarsi poco a poco da lui, inclinare verso il suo rivale, infiammarsi, esaltarsi, cader mortalmente bella e sbocciata nelle braccia di colui. Era fuggito. Il dì seguente, Gabriele assiso a terra, le gambe incrociate, i gomiti sulle ginocchia, il mento fra le mani, stava ascoltando il vecchio che sul Molo declamava l'Ariosto.
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