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Aggiornato: 29 maggio 2025


L’almirante era da pochi giorni nella capitale dell’Andalusia, quando ricevette la lettera dei sovrani, che lo pregavano di dare immediatamente, a Siviglia, o dove gli piacesse meglio, gli ordini necessari ad affrettare la sua partenza per un nuovo viaggio, informandoli a volta di corriere di ciò che avessero a fare dal canto loro, per agevolare gli apparecchi. S’intende che lo invitarono anche a recarsi alla Corte, in Barcellona; ma questo era il meno. E certamente a Cristoforo Colombo doveva piacere, assai più del cortese invito, la fretta con cui Ferdinando e Isabella miravano ad assicurarsi la conquista di un nuovo impero di l

Diciamo subito, senza tenere i lettori alla corda, quali fossero le ragioni della tristezza e della rabbia di Martino Alonzo Pinzon. La sua caravella, separata dalla capitana per la violenza dell’uragano, era stata spinta in un’altra direzione, verso il golfo di Biscaglia, ove, non senza stento, aveva approdato a Baiona. Ignorando se Cristoforo Colombo fosse sfuggito a quella fortuna di mare, impaziente di precorrerla ad ogni costo, preoccupando a suo favore il giudizio della corte e del popolo di Castiglia, Martino Alonzo aveva scritto subito al re e alla regina, informandoli delle fatte scoperte. Ma il linguaggio suo, in quella lettera, non era di un ufficiale subalterno, che riferisse al suo comandante la gloria dell’impresa; era quello di un millantatore, che volesse attribuirne a tutto il merito. Di Cristoforo Colombo egli non faceva parola; forse aspettando dal tempo la certezza di un naufragio che gli pareva molta probabile, si disponeva a non parlare che di , dimenticando il comandante supremo. E frattanto, chiudeva la sua lettera domandando licenza di recarsi alla Corte, per esporre alle Loro Altezze la peripezie del suo viaggio e l’ordine e la importanza delle scoperte, che aveva fatte di l

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