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Aggiornato: 27 luglio 2025
L'anno che la mia vicina cambiò casa e che io dovetti rinunciare alla scuola, mi rimasero le faccende da disbrigare, il letto, la minestra; poi, tanto per guadagnare qualche cosa, andavo anch'io a giornata per servizi leggeri. Alla sera cucivo quel po' di roba nostra, rattoppavo i calzoni di mio padre; nei giorni festivi leggevo. In complesso facevi una vita tranquilla.
Mi ero proposto di fare il giro intorno a tutto il capo, ma dovetti abbandonarne l'idea, perchè dalla parte del mare le rocce cadono a picco, non lasciando sentiero possibile sulla spiaggia.
«Libero di me stesso, sciolto dal servizio militare, mi strascinai a stento infino a Milano ove esaurite le mie poche risorse. Dovetti ricorrere ancora alla pubblica carit
Alla vigilia del matrimonio di Raimondo volli provare a farmi forza, e balzai da letto. Non avea mosso due passi, che mi si piegarono le ginocchia e dovetti appoggiarmi per non cadere. Il pronostico di Raimondo andò fallito: io non assistetti alle sue nozze. In quello stesso giorno venne il medico; trovò che io stava meglio, ma ad assicurare la guarigione consigliavami i bagni di mare.
Ogni giorno all'uscire dalla stanzetta piena di sole, fingevo di scordarmi della sua offerta, per sentire subitamente la vocina di lui, balbettante: Vulite 'o vasillo? Vulite 'o vasillo? Gli aveva promesso di recarmi a vederlo due tre volte nella settimana; lo aveva promesso anche a Fortunata. Cominciato novembre, dovetti abbandonare i miei studi di mare e il vicolo Giganti.
mi sbarcò in un albergo, dove dovetti aspettare un'ora che mi si facesse il letto, e finalmente, poco prima delle tre della mattina, potei metter la testa sul guanciale. Ma le mie disgrazie non eran finite. Quando cominciavo a pigliar sonno, sentii un mormorio indistinto nella stanza accanto, e poi una voce maschile che disse chiaramente: Oh che piedino! Chi ha viscere di umanit
Di passo in passo, e di paradosso in paradosso, giunsi nel cortile dei coloni. Sebbene avessi gli abiti corti, dovetti rialzarli qua, e poi l
Fasciò la mia nuca. Toccò la mia guancia... Dovetti ritrarmi. Così gli ero più vicina. E il sole camminava. Dopo qualche istante illuminò di nuovo la mia mano, prese tutto il mio braccio, m’entrò nella bocca, rise ne’ miei occhi... Dovetti ancora muovere la seggiola, sottrarmi a questo raggio che mi voleva, a questo fulgore che sempre più mi sospingeva, lentamente, verso il diacono Ralph.
Dovetti rispondere anche questa volta, come tante altre, nulla, quantunque fosse così vivo in me il desiderio di potergli raccontare cose grandi e belle. E cademmo nel silenzio, strano silenzio che sembrava crescere in proporzione del desiderio di parlare ma che era tanto dolce, dolce come non saprei dire.
«Ma la confusione, l'urlìo, il trambusto erano tali, che non potei essere udito, e dovetti ripetere più volte: « Sentite! sentite! Dacchè non soffro nulla, è segno che il veleno è localizzato. Amputando la mano si può forse salvarmi.
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