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Eugenio, l'abitudine È una cinica Dea, Che avvelenò coll'alito Ogni sublime idea! Profuse il genio ai popoli Le perle smaglïanti E un'orda di baccanti In pietre le mutò! Dal che all'Evangelio Pace e conforto io chiesi, Dal che il cor degli uomini A interrogare appresi E, come un serpe, ascondersi Vidi nel Bene il Male, Il giorno di Natale, Da allora mi indignò!

Se fossi stata una Dea possente avrei sommerso il mare nella terra, prima che il buon vascello esso inghiottisse insieme con quelli che recava seco! Calmati! non più paura e al pietoso cuore di' che non vi fu danno. O triste giorno! Non vi fu danno. Io non ho fatto nulla che non fosse per te.

Perchè cercar nell'anima Le fede e la speranza? Perchè cercar nell'anima La postuma esultanza, Se scioglier la materia Ci può il fatal problema, Se il mistico pöema Essa cantar ci sa? Essa, l'eterno simbolo; Essa, l'eterna Dea; Essa, da cui germogliano E l'albero e l'Idea; Essa che d

O pur non sia fallace il creder mio. Or mi sovvien, ch'ancor de l'alte dive son mal stabili i cori. E quante volte mutò voglia e amor la dea di Cipri, la dea del terzo ciel? Di lei mi taccio. Ma la bianca, la fredda e casta luna come fu fida, lasso, al fido amante? Il sanno gli alti boschi, ch'alcun tempo vider Pan lieto e tristo Endimione.