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Aggiornato: 15 giugno 2025
L'ordine mio, nel lasciar l'esercito, era di gettar delle bande sulle linee di comunicazione del nemico, non di prender posizione fissa a poche miglia dall'esercito borbonico, con un fiume come il Volturno fra mezzo agli occupatori poco numerosi di Caiazzo, ed i loro sostegni sulla sponda opposta.
E questo serve da conferma, tanto del carattere di guardia oligarchica conservato dall'esercito stesso fino alla rovina del governo della Serenissima quanto della infondatezza del timore da alcuni nutrito che esso avesse potuto tralignare in mano di audaci e di novatori.
Ad onta dei bandi viceregali e delle promozioni testè menzionate, l'esercito italico rimase attonito e costernato in sulle prime dalla notizia dell'armistizio conchiuso fra il principe Eugenio e il maresciallo Bellegarde. Ma ben presto si dileguò quella costernazione. Il generale Teodoro Lecchi assicurò l'esercito che il vicerè non s'indurrebbe giammai ad abbandonarlo, e che ogni sforzo di lui tenderebbe, all'incontro, a stabilirsi fermamente in mezzo all'esercito stesso ed in Italia. Le quali assicurazioni mutarono repentinamente in trasporti di gioia e di riconoscenza le mormorazioni che prima si erano udite. Gli è certo, di fatti, che i generali Fontanelli e Bertoletti, partitisi pria del 20 d'aprile da Mantova per a Parigi, e latori di istruzioni ufficiali per non chiedere altro che la conservazione e l'independenza del reame d'Italia, erano stati inoltre incaricati, non solo dal vicerè, ma e dall'esercito, di far instanza acciò al principe Eugenio venisse data la corona italica. Intanto l'avviso ufficiale del conchiuso armistizio, e l'ordine di convocare il senato per la nomina dei due oratori del governo da spedirsi a Parigi, erano gi
Tutti gli uomini validi, poi, diretti dal comandante del battaglione di fanteria e da varii ufficiali del genio, venuti pure dall'esercito borbonico, organizzaronsi indietro d'Isernia verso Taliverna, Venafro ed i monti che costeggiano la strada a settentrione. Tale sistema di difesa ed offesa era degno d'una causa migliore.
Se non che Franciscolo abbandonò Lecco per correr colle armi dei Brianzuoli in soccorso dei Visconti, i quali, dall'esercito guelfo crociato incalzati vivamente, si videro fino assediati in Milano.
A Aspromonte è arrestato dall'esercito regio, ferito, imprigionato, prosciolto, ricondotto al suo scoglio; dove, estrattagli la palla dal piede, ma ridotto sulle grucce, dolente ancora, promove una spedizione per la Polonia insorta; dopo di che, invitato, si reca in Inghilterra ed entra in Londra fra l'entusiasmo frenetico d'un milione di creature umane, che lo salutano come un dio.
Parola Del Giorno
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