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Tal sen va ratta ove il demon la scorge; Tigre parea, che belle macchie adorna, A' Libici pastor temenza porge S'a far strage d'armento unque ritorna. Ma non però vaga in ciel risorge L'alba tra varii fior quando s'aggiorna, Ch'a pregi di costei non ceda molto, Tanta bellezza le fiorisce in volto.

«Un vento gelato del nord» io diceva in uno degli ultimi articoli, il 18 giugno «ha soffiato sull'anime. Odo voci ignote a mormorare parole ignote anch'esse finora su questa terra repubblicana: rompiamo cogli esuli, rannodiamo coi governi: sagrifichiamo ad essi questa mano d'agitatori: proscriviamo i proscritti, e rovesciamo sulle loro teste le colpe delle quali i governi ci accusano. E si stendono liste di proscrizione, s'imprigionano ad arbitrio gli esuli contro i quali non milita accusa: novanta individui formano una categoria di sospetti: hanno ricompensa le denunzie e prezzo le teste. I giornali ridondano di calunnie. Non siamo interrogati ammessi ad esame. Segnati quasi capi d'armento, siamo destinati gli uni all'Inghilterra, gli altri all'America. Perchè? In virtù di qual diritto? Per quali scoperte? Quali delitti furono commessi da noi? Su qual codice è fondato il giudizio? Quali testimonianze s'invocano? Quali giustificazioni ci sono chieste? Come nell'antica Venezia, la persecuzione è fondata su denunzie segrete. Le condanne non poggiano sul diritto comune, su leggi note. Non v'è legge per noi. Il nostro presente, il nostro avvenire è dato in balìa al diritto dello Stato, a un non so che d'incerto, d'indefinito, a una autorit