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Il buon vecchio si fece promettere che durante quel tempo non farebbero un male al suo padrone, e li lasciò. Al canonico la somma parve ancora enorme. S'aggirava per la camera tutto costernato. Meschino me!... Meschino me!... giungeva le mani, alzava gli occhi al cielo. Don Ciccio, don Salvatore, andavan dietro al fratello, con gran sospiri, ripetendo ch'eran rovinati.

Raccontate quello che fece la banda di Don Peppino; e ricordatevi che faceste una confessione al presidente Morena. Quando io fui chiamato da Morena, vennero con me il Lombardese e Ciccio Raja, e mi dissero come regolarmi. Questo lo sapevamo, ora parlate tutti d'un modo: non c'è cosa che non vi fu fatta fare o dire per forza. Va bene: sedete.

Don Salvatore e don Ciccio s'avvicinarono: vollero esser messi anche loro a parte della buona idea. Approvarono. Buona, proprio buona! non c'era altra via. La comunicarono alla povera Annuccia, i cui occhi si ravvivarono: s'alzò, si curvò sulla madre, e gli disse la cosa a voce alta, come si farebbe con un sordo.

Il galantuomo si rimise a fischiettare; e don Peppino, riconosciutolo a quel segno, ordinò a tutti che smontassero, e dessero le bestie ai sei contadini che dovevano restare a custodirle sotto la sorveglianza di Ciccio Raja. Fu un fantastico agitarsi d'ombre, un bisbigliare confuso, uno scalpitìo d'uomini e di cavalli.

Forse era stato un carbonaio a cui aveva dato delle nerbate; o Vito, a cui aveva fatto pagar le spese del danno fatto dal mulo nel campo di don Ciccio; o Brasi col quale s'eran barattate quattro parole un po' vive la domenica avanti. Insomma conchiudevan tutti che qualche cosa sotto ci doveva essere: non s'ammazza un uomo per niente.

Si ritirò in fretta, corse all'uscio della camera del canonico, picchiò a buttarlo giù.... È tornato il padrone, gridava quasi senza fiato, è tornato il padrone.... Corse all'uscio della camera di don Ciccio e di don Salvatore.... È tornato il padrone.... è tornato il padrone.... Poi via a precipizio per le scale. In men che non balena nella casa tutti furono svegli, e accorrevano mezzo vestiti.

Che buo' fa, te vuo' sta lloco fora?... Trase! 'Onn'Amá, sèvire voste!... Bonasera. Aggio truvato a Papele addo' masto Ciccio... E ched'è, ogge nun avite faticato? Gnernó, 'onn'Amá, avimmo levato mane nu poco cchiú ampresso. Chillo 'o principale ha avuto che fa... Ne? È ghiuto facenno spese pe quacche curredo?... A qua' cantina? A qua' cantina? Cc

Nino Di Marco, compare Ciccio Raja, Mamola.... tutti i picciotti insomma; e alcune donne, Maria la Ciminnita e sua figlia Peppa, una certa donna Rosa da Villafrate, Anna Caltabellotta l'innamorata del capitano, una ragazza a quindici anni, che, gli assicuro, si può bere in un bicchier d'acqua. Gli amici mi fecero un mondo di cose, ci abbracciammo, e ci baciammo.

La giustizia si mise sulle peste di compare Ciccio, e compare Ciccio fu preso.

Don Ciccio e don Salvatore s'abbandonarono sulle sedie, l'uno con la testa tra le palme, l'altro dondolandola. Duecento mila lire!... duecento mila lire!... casa rovinata.... casa rovinata! Gli scellerati volevano morto il fratello dacchè domandavano quella somma ch'essi non avrebbero potuto pagar mai! Basta, fu il fattore che riuscì a calmarli in certo modo.