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E l'indomani fece presto a venire, perchè mutatasi la cena in festino per onorare l'ospite, la notte se ne andò, che non parve manco fosse venuta. Ma non se n'era andato con essa il proposito di Giuliano, il quale al primo che s'intoppò tra quegli uffiziali che glielo avevano promesso, chiese d'essere condotto dal generale. Era questi il vecchio Dumorbion, che aveva il quartiere in un convento di frati, rimasto vuoto sin dal primo apparire dei Francesi, la primavera innanzi. All'ora in cui Giuliano arrivava da lui, n'uscivano tutti i colonnelli e i generali dell'esercito repubblicano. L'uffiziale che l'accompagnava lo trattenne sul piazzale della chiesa a vederli passare, e glie ne diceva, così di volo, i nomi e le gesta. Quello era il Laharpe, svizzero di nazione, giovanissimo come si vedeva all'aspetto, prode, sapiente e giusto; quell'altro Massena, a udir l'uffiziale, venuto su da piffero in un reggimento, a quell'altezza di onori e di fama. Cervoni ed Arena gli tenevano dietro parlando tra loro; quei due che ai panni si conoscevano per gente non di spada, erano Albit e Salicetti rappresentanti del popolo; e via via. Ne nominò molti, dolente di non potergli additare quello che era il più illustre di tutti. «Ma lo troveremo forse dal generale»: disse l'uffiziale, e pigliato Giuliano a bracetto lo mise dentro al convento. Questi si lasciava fare come un fanciullo; perchè a vedere quei personaggi gli pareva di non aver mai vissuto. Essi non avevano aspettato d'avere le rughe sul viso per essere uomini; e gi