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Aggiornato: 14 giugno 2025
Era lui che mandava quel lamento. Sempre così questo povero Monti! Ah! è proprio vero! egli riposa meno ancora di me. Poi il dabben uomo richiuse il finestrino, e passò dall'altra parte del camerone, dove aprì un simile sportello, e guardò dentro a un'altra segreta. Era quella di Curzio. Quest'altro invece se la dorme in pace! pensò Petronio. Beato lui! Se potessi fare lo stesso anch'io!
Il teatro era al primo piano, e ci s'entrava sollevando una cortina unta e bisunta, proprio di rincontro alla lucerna e al cartellone che v'abbiam detto. Figuratevi un camerone, una stamberga dalle pareti ruvide, disuguali, il cui intonaco, nelle sue frequenti sfaldature, mostrava sei o sette mani di bianco datevi su da altrettante generazioni, con uno zelo degno di miglior causa.
Così dicendo, la principessa conduceva seco Curzio; quando, giunta con esso al cancello del camerone, s'imbattè sulla soglia con monsignor Pagni. Fermatevi, o signora! gridò il prelato. Essa si arrestò come impietrita. Curzio si ritrasse sdegnosamente lontano. Voi mi avete ingannato, disse monsignore a bassa voce alla principessa. Lasciatemi! diss'ella. Fermatevi, ripigliò monsignor Pagni.
La luce fioca che stenebrava il camerone, si spandeva per consueto dai fungosi lucignoli di due lumi a stella, le cui spere di latta pendevano dalle pareti, l'una di rincontro all'altra, e non venivano a capo di confondere i loro riverberi nel mezzo della sala.
Accesi il lume. La stanza aveva due usci; uno metteva nel corritoio e l’altro in un camerone attiguo, vuoto.
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