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Era il meriggio, Ma sui verdi sentier dal sol dorati Nell'alme loro v'eran due tramonti. Ei camminava mesto, lentamente. Guardando le pupille dolorose D'azzurro limpido E la purezza del profilo, e spente Quasi sul volto a lei le belle rose. Gli antichi parean tornati ancora; Ei credeva sognare un sogno vero. Le foglie tremule Mormoravan su lor come in allora Che Amor li precedeva sul sentiero.

Mormoravan con voci roche e lente le fontane invisibili tra i pini: or or no li stocchi adamantini oltre i rami balzavan di repente. Non così dolce cantan li usignuoli! Vago ne l'alba suono di campane giungeva da la Trinit

riso, ed altre eran occhi, occhi splendenti di passïone in volti di follia; e mormoravan verso gli astri spenti parole di divina nostalgia. Il sangue. Il sangue, il sangue!... Lo vedea, nel grembo d’ogni fiore vermiglio, nelle nubi d’alba e di vespro, nell’orror del nembo; lo sentiva nel rombo d’ogni arteria, denso, caldo, gagliardo, veemente, sola ricchezza nella sua miseria.

Poi spicco l'ali dall'oscuro nido E, librandomi in ciel, nel volo immenso Saluto il mondo con superbo strido... È allor che canto e penso. Autunno 1875. Gli amanti passeggiavano mentre cadeva il sole; Mormoravan le labbra portentose parole; Un inno solo dalle labbra uscia, Un inno che diceva: La parola dell'uomo è melodia, Che sovra ogni idïoma si solleva!