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La vista di quella moltitudine di persone che percorrevano quella via, produsse la più piacevole impressione a Maestro Tanaglia. Le strette di cuore da lui provate nella burrascosa vicenda recentemente trascorsa facevangli trovar gradito il vedersi ritornato ad un luogo il cui soggiorno gli era sembrato da prima pesante e noioso. L'imponenza del Castello dentro cui stava per riprendere le sue cancelleresche faccende, la sicurezza che inspiravano quelle mura, i belligeri apparati, i molti uomini pronti e interessati a difenderlo, fornivano al suo spirito un più che evidente e vantaggioso raffronto coi gravi perigli ch'ei per esperienza sapeva che s'incontravano in ogni altra dimora. Felicitavasi quindi in cuor suo, ed era forse la prima volta che sinceramente il facesse, di godere la protezione del Castellano, aver la confidenza di lui, tener parte attiva nel regime del suo dominio. Così pensando, camminava con più lentezza e gravit

Lo sapevo, rispose in modo urbano ma secco, mentre cercava ancora un sotterfugio per evitare la mossa, senza darsene precisamente ragione; ma i pezzi toccati erano due, bisognava giuocarli tutti e due: il codice del giuoco parlava chiaro; non era possibile altro passo che l'arroccamento. Anderssen si arroccò alla calabrista, come dice il gergo della scienza, cioè pose il re nella casa del cavallo e la torre nella casa dell'alfiere. Poi piantò gli occhi nel volto del nemico. Il negro, fatta che vide la mossa tanto sperata e tanto attesa, tornò a fissare più intensamente che mai l'alfiere segnato, ed acceso dalla emozione e dalla sua natura tropicale, non si curava anche di temperare gli slanci della sua fisionomia. Correva su e giù coll'occhio dall'alfier nero al re bianco, facendo e rifacendo venti volte la stessa via quasi volesse tirare un solco sulla scacchiera. Anderssen vide quelle occhiate, le seguì, notò l'alfiere, indovinò tutto; ma sulla sua faccia non apparve un indizio solo di quella scoperta. Del resto Tom non guardava mai l'Americano; era sempre più invaso dall'idea fissa che lo dominava, Tom in quella stanza non vedeva che una scacchiera, in quella scacchiera non vedeva che uno scacco: fuor di quel piccolo quadrato nero e di quella figura d'ebano, nessuno e nulla esisteva per esso. Coi pugni serrati s'aggrappava agli ispidi capelli, sostenendosi così la testa, appoggiato coi gomiti alla sponda del tavolo; la pelle delle sue tempia, stiracchiata dalla pressione che facevangli i polsi delle due braccia, gli rialzava l'epiderme della fronte; le palpebre, in quel modo stranamente allungate all'insù, mostravano scoperto in gran parte il globo opaco e bianchissimo de' suoi occhi. In questo atteggiamento stette maturando il suo colpo per ben quaranta minuti, immoto, avido, trionfante; poscia attaccò; prese una pedina all'avversario e gli offese un cavallo. L'Americano aveva previsto il colpo. Il fuoco era incominciato. A quella prima scarica rispose un'altra dell'Americano, il quale prese la pedina nera ed offese la torre; cinque, sei mosse si seguirono rapidissime, accanite. La vera lotta principiava allora. A destra, a sinistra della scacchiera vedevansi gi

Non udiva allora più le grida selvaggie dei beduini, ma per l'aria udiva certi svolazzamenti, certi stridi che facevangli supporre di trovarsi in mezzo a bande di pipistrelli; anzi provava sulla faccia il freddo contatto delle loro ali e più d'uno s'aggrappò alle sue vesti.