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Il dottore fece il giro badando a non inciampare nelle gambe allungate del cieco, e venne presso ad Ernesta. Dorme, disse sottovoce, sicuramente dorme; cara signora, ella fa un'azione generosa; riconosco la sua bell'anima.

Così il seno, che un poeta classico avrebbe battezzato acerbo, non dimenticando il solito paragone con le fragranti mele appie, era un miracolo di casti contorni, e la sua bianchezza non appariva punto sopraffatta da una collana di perle a cinque filze, dall'ultima delle quali pendevano altre perle più grosse, allungate a forma di gocciola, dai bei colori iridescenti.

Ma l'aurora dalle rosee dita, come l'hanno chiamata i classici, cominciava a spargere il suo color prediletto dal balzo d'oriente; i vapori si diradavano, le leggi della prospettiva incominciavano a trionfare. Le nuvole, allungate in cirri fantastici, risaltavano tinte di rosso sulla linea dell'orizzonte, donde emergevano, nereidi mattiniere, le isole e le coste del Tirreno.

Lo sapevo, rispose in modo urbano ma secco, mentre cercava ancora un sotterfugio per evitare la mossa, senza darsene precisamente ragione; ma i pezzi toccati erano due, bisognava giuocarli tutti e due: il codice del giuoco parlava chiaro; non era possibile altro passo che l'arroccamento. Anderssen si arroccò alla calabrista, come dice il gergo della scienza, cioè pose il re nella casa del cavallo e la torre nella casa dell'alfiere. Poi piantò gli occhi nel volto del nemico. Il negro, fatta che vide la mossa tanto sperata e tanto attesa, tornò a fissare più intensamente che mai l'alfiere segnato, ed acceso dalla emozione e dalla sua natura tropicale, non si curava anche di temperare gli slanci della sua fisionomia. Correva su e giù coll'occhio dall'alfier nero al re bianco, facendo e rifacendo venti volte la stessa via quasi volesse tirare un solco sulla scacchiera. Anderssen vide quelle occhiate, le seguì, notò l'alfiere, indovinò tutto; ma sulla sua faccia non apparve un indizio solo di quella scoperta. Del resto Tom non guardava mai l'Americano; era sempre più invaso dall'idea fissa che lo dominava, Tom in quella stanza non vedeva che una scacchiera, in quella scacchiera non vedeva che uno scacco: fuor di quel piccolo quadrato nero e di quella figura d'ebano, nessuno e nulla esisteva per esso. Coi pugni serrati s'aggrappava agli ispidi capelli, sostenendosi così la testa, appoggiato coi gomiti alla sponda del tavolo; la pelle delle sue tempia, stiracchiata dalla pressione che facevangli i polsi delle due braccia, gli rialzava l'epiderme della fronte; le palpebre, in quel modo stranamente allungate all'insù, mostravano scoperto in gran parte il globo opaco e bianchissimo de' suoi occhi. In questo atteggiamento stette maturando il suo colpo per ben quaranta minuti, immoto, avido, trionfante; poscia attaccò; prese una pedina all'avversario e gli offese un cavallo. L'Americano aveva previsto il colpo. Il fuoco era incominciato. A quella prima scarica rispose un'altra dell'Americano, il quale prese la pedina nera ed offese la torre; cinque, sei mosse si seguirono rapidissime, accanite. La vera lotta principiava allora. A destra, a sinistra della scacchiera vedevansi gi

L'ordine della sua esistenza si capovolse negli ultimi sforzi della memoria: presso alla fine, egli rivisse, l'estasi suprema di un'ora della sua prima gioventù. Dagli un bacio, diceva il Principe ridendo. E la testolina bruna della bambina si chinava verso di lui; due labbruzze strette, allungate cercavano le sue; una vocina festosa ripeteva: Prendi, Drollino, prendi!