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8 Quel se gli appressa, e forte lo percuote: lo morde a un tempo il can nel piede manco. Lo sfrenato destrier la groppa scuote tre volte e più, falla il destro fianco. Gira l'augello e gli fa mille ruote, e con l'ugna sovente il ferisce anco: il destrier collo strido impaurisce, ch'alla mano e allo spron poco ubidisce.

Così per li gran savi si confessa che la fenice more e poi rinasce, quando al cinquecentesimo anno appressa; erba biado in sua vita non pasce, ma sol d’incenso lagrime e d’amomo, e nardo e mirra son l’ultime fasce. E qual è quel che cade, e non sa como, per forza di demon ch’a terra il tira, o d’altra oppilazion che lega l’omo,

Cosi` per li gran savi si confessa che la fenice more e poi rinasce, quando al cinquecentesimo anno appressa; erba ne' biado in sua vita non pasce, ma sol d'incenso lagrime e d'amomo, e nardo e mirra son l'ultime fasce. E qual e` quel che cade, e non sa como, per forza di demon ch'a terra il tira, o d'altra oppilazion che lega l'omo,

E per questa parola nota quegli del limbo essere in foco, quantunque nel quarto canto l'autore dica quelli, che nel limbo sono, non avere altra pena che di sospiri. «Non m'assale», cioè non mi si appressa.

Lasciatevi prendere per le mani. Com’egli le si appressa, ella si allontana, si sottrae, implacabile e inafferrabile. Mortella. Non vi affaticate. Gi

Cosi` per li gran savi si confessa che la fenice more e poi rinasce, quando al cinquecentesimo anno appressa; erba ne' biado in sua vita non pasce, ma sol d'incenso lagrime e d'amomo, e nardo e mirra son l'ultime fasce. E qual e` quel che cade, e non sa como, per forza di demon ch'a terra il tira, o d'altra oppilazion che lega l'omo,

Ei sorge, si appressa: de l'antro fatato Risuona ai suoi passi la volta profonda; Il negro cavallo gli scalpita allato; Gli mette baleni lo sguardo e l'acciar. Gi

L'alba mi trovò desto, io aveva dormito. Or via, dissi, convien far conto di aver dormito abbastanza per questa notte; l'ora della partenza si appressa, e quel povero Eugenio a cui ho promesso di andarlo a salutare alla stazione, mi aspetter

Donato fa arrestare il calesse, scende, rimane un istante immobile, poi si avvia a passo lento... e si trattiene innanzi al muricciolo di cinta del giardino, del babbo; gli batte il cuore, sente rumore di passi, si nasconde, ha paura di esser visto; poi si appressa, si arrampica d'un balzo allo sporto del muro, getta, spenzolandosi, un'occhiata di baleno nel giardino e si lascia ricadere a terra palpitante.

TIGEL. Ancor di sangue tempo non è; ma ben si appressa, io spero.