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Ogni giorno segnava discussioni, baruffe e pugilati. Nel maggio, prima ancora della dichiarazione di guerra dell’Italia all’Austria, subito dopo l’ordine di mobilitazione, Roberto mandava al padre e alla madre una lettera, nella quale implorava d’esser lasciato andare volontario. Compiva allora i quindici anni.
Il capitano inquieto di quel silenzio uscì per cercare delle notizie, ma appena giunto al cancello vide un ragazzetto che gli veniva incontro con un viglietto. Lo aperse rapidamente. Lo scritto gli veniva da un amico fidato, e conteneva queste poche parole: «Hanno firmata la pace. Il Veneto resta all’Austria.»
Stefano andava a Treviso a vedere gli amici, e s’informava esattamente di tutto quello che veniva tentato per l’emancipazione del paese. Era il tempo dei Comitati secreti e del prestito di Mazzini. Come in tutte le parti soggette all’Austria, così anche a Treviso i patriotti corrispondevano segretamente cogli emigrati in Piemonte e in Francia, e apparecchiavano l’avvenire.
L’Uomo che non aveva nel corso de’ suoi anni fatto piangere alcuno, non seppe mai perdonare all’Austria e alla Germania di non avere egli potuto additare a sè ed agli altri, per difendere l’incolumit
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