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NER. Il cor, la mente acqueta; in bando ogni timor geloso caccia: ma il voler mio rispetta a un tempo. Esser non può, ch'ella per or non rieda. Giá mosso ha il piè ver Roma: il novello quí scorgeralla. Il vuol la tua non meno, che la mia securtá: che piú? s'io 'l voglio; io non uso a trovare ostacol mai a' miei disegni. Io non mi appago, o donna, d'amar, qual mostri, d'ogni tema ignudo.

Or, mentre sola io piango, che fa Nerone? In rei bagordi egli apre la notte giá. Securo stassi ei dunque? tosto? appieno?... E in securtá pur viva! Ma, a temer pronto, e a distemer del pari, nulla ei piú crede ad un lontan periglio: di un tanto error, deh, non glien torni il danno!

Poi, cercando a ventura per Napoli, gliele avemo trovate adosso; e volendo torcele, mi pregò che le lassassi per tutto oggi, che mi arebbe dato costui per securtá di trenta scudi; e avendomegli lui promessi, l'ho lasciato andare. NARTICOFORO. Or parlate voi, di grazia.

Poi che è salito, egli si truova congregato; ché, possedendo la ragione e' tre scaloni delle tre potenzie de l'anima, come decto t'ho, l'ha congregate nel nome mio. Congregati e' due, cioè l'amore di me e del proximo, e congregata la memoria a ritenere e lo 'ntellecto a vedere e la volontá ad amare, l'anima si truova acompagnata di me che so' sua fortezza e sua securtá.