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Veramente Iordan vòlto retrorso più fu, e ’l mar fuggir, quando Dio volse, mirabile a veder che qui ’l soccorso». Così mi disse, e indi si raccolse al suo collegio, e ’l collegio si strinse; poi, come turbo, in tutto s’avvolse. La dolce donna dietro a lor mi pinse con un sol cenno su per quella scala, sua virtù la mia natura vinse;

Enrico strinse la mano che la Luisa gli porse; e l'indispensabile vermiglio, che accompagna quasi sempre il primo passo al malcostume, si pinse sulla fronte del giovinetto. La Luisa lo invitò a sederle accanto.

Veramente Iordan volto retrorso piu` fu, e 'l mar fuggir, quando Dio volse, mirabile a veder che qui 'l soccorso>>. Cosi` mi disse, e indi si raccolse al suo collegio, e 'l collegio si strinse; poi, come turbo, in su` tutto s'avvolse. La dolce donna dietro a lor mi pinse con un sol cenno su per quella scala, si` sua virtu` la mia natura vinse;

Vita bestial mi piacque e non umana, si` come a mul ch'i' fui; son Vanni Fucci bestia, e Pistoia mi fu degna tana>>. E io al duca: <<Dilli che non mucci, e domanda che colpa qua giu` 'l pinse; ch'io 'l vidi uomo di sangue e di crucci>>. E 'l peccator, che 'ntese, non s'infinse, ma drizzo` verso me l'animo e 'l volto, e di trista vergogna si dipinse;

L'anima gloriosa onde si parla, tornata ne la carne, in che fu poco, credette in lui che potea aiutarla; e credendo s'accese in tanto foco di vero amor, ch'a la morte seconda fu degna di venire a questo gioco. L'altra, per grazia che da si` profonda fontana stilla, che mai creatura non pinse l'occhio infino a la prima onda,

Sovr'essa vedestu` la scritta morta: e gia` di qua da lei discende l'erta, passando per li cerchi sanza scorta, tal che per lui ne fia la terra aperta>>. Inferno: Canto IX Quel color che vilta` di fuor mi pinse veggendo il duca mio tornare in volta, piu` tosto dentro il suo novo ristrinse.

E avvegna ch'io fossi al dubbiar mio li` quasi vetro a lo color ch'el veste, tempo aspettar tacendo non patio, ma de la bocca, <<Che cose son queste?>>, mi pinse con la forza del suo peso: per ch'io di coruscar vidi gran feste.

E avvegna ch’io fossi al dubbiar mio quasi vetro a lo color ch’el veste, tempo aspettar tacendo non patio, ma de la bocca, «Che cose son queste?», mi pinse con la forza del suo peso: per ch’io di coruscar vidi gran feste.

E avvegna ch’io fossi al dubbiar mio quasi vetro a lo color ch’el veste, tempo aspettar tacendo non patio, ma de la bocca, «Che cose son queste?», mi pinse con la forza del suo peso: per ch’io di coruscar vidi gran feste.

Da Pier le tegno; e dissemi ch'i' erri anzi ad aprir ch'a tenerla serrata, pur che la gente a' piedi mi s'atterri>>. Poi pinse l'uscio a la porta sacrata, dicendo: <<Intrate; ma facciovi accorti che di fuor torna chi 'n dietro si guata>>. E quando fuor ne' cardini distorti li spigoli di quella regge sacra, che di metallo son sonanti e forti,