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Aggiornato: 25 giugno 2025


Si chiamava Angelo De Boni. La sua famiglia, oriunda di Zugliano, il capo-luogo del circondario, era un tempo fra le più agiate di quelle valli. Possedeva i pascoli migliori, le baite le meglio costrutte, e il belato e le campanelle delle sue mandrie si sentivano a molte e molte leghe all'ingiro.

Laggiù vivevano i poveri fittaiuoli del Pinaia, avendo davanti a quel magro podere e quei pascoli per cui dovevano pagare cinquecento lire ogni anno al fornaio arpagone di San Giorgio. Compiuto il giro della vasta rovina, Maurizio riuscì sull'aia che si stendeva davanti alla casa.

All'epoca della sanguinosa conquista, quando le misere tribù indiane furono spazzate vie dalla Pampa, enormi lotti di terre vennero cedute ai capi dell'armata e agli amici del governo. Queste terre non avevano che un valore minimo, erano pascoli brulli e selvaggi.

Le mandre rientravano dai pascoli salutando la sera con lunghi muggiti. I passeri si raccoglievano sugli alberi cinguettando, e raccontandosi i loro pettegolezzi del giorno. I camini fumavano, le famiglie si raccoglievano per la cena. Tirai fuori dal mio portafogli la lettera di raccomandazione di mio zio all'egregio signor Nicola Bruni, e domandai della sua dimora al primo venuto.

Eravamo ad una grande elevazione; si vedeva al basso il torrente come un nastro azzurro, serpeggiante fra le piccole colture frastagliate, poi come un anfiteatro a scaglioni ove verdeggiava un magro frumento in piccoli spazi di terreno sostenuti da muricciuoli a secco, qualche casupola sparsa e biancheggiante fra i cespugli, e più in alto i pascoli interrotti dalle frane e dalle valanghe, sparsi di alcuni castagni giganti che si aggrappavano ai crepacci colle grosse radici; grandi e piccoli macigni franati dalle cime erano sparsi sugli strati erbosi che giungevano al margine dei precipizi.

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dell’esule

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