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Aggiornato: 21 maggio 2025


Il ministro Pareto parlava, se ben ricordo, sul finire del luglio, di resistere apertamente ai Francesi, ove si attentassero di varcare le Alpi. Il 31 bensì, sotto il fremito delle popolazioni, che incominciavano a indovinare la disfatta e a sentirsi tradite, si mutava linguaggio, e si annunziava officialmente ai Lombardi che il Ministero piemontese chiedeva formalmente l'intervento di Francia.

Il 23 marzo, alle undici della sera, il signor Abercromby in Torino riceveva un dispaccio segnato L. N. Pareto; e vi si leggeva: «........ Il signor Abercromby è informato come il sottosegnato dei gravi eventi or ora occorsi in Lombardia: Milano in piena rivoluzione e bentosto in potere degli abitanti che, col loro coraggio e la loro fermezza, hanno saputo resistere alle truppe disciplinate di S. M. Imperiale, l'insurrezione nelle campagne e citt

E l'idea era così radicata in quegli animi, che il 30 aprile, quando la guerra era inoltrata, v'era più bisogno di dissimulare, ma solamente di vincere, il Pareto tornava a dichiarare all'Abercromby che se l'esercito piemontese avesse indugiato a valicare il Ticino, sarebbe stato impossibile d'impedire che Genova si ribellasse e si separasse dai dominî di S. M. Sarda .

Carlo Alberto e i suoi non volevano gli ajuti di Francia, non per orgoglio nazionale per coscienza di secura vittoria, ma come non volevano gli Svizzeri e i volontarî, per paura dell'idea, della bandiera repubblicana. Un timido indirizzo fatto sul cominciar della guerra, e senza chiedere ajuti, al governo di Francia, meritò rimproveri severi dai regî al governo provvisorio. E le istruzioni date agli agenti sardi imponevano di chiudere possibilmente ogni via all'intervento francese. L'esercito francese diceva orgogliosamente, il 12 maggio, Pareto alla Camera torinese non entrer

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