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Si scende, si torna verso l'uscita, di sala in sala, di rovina in rovina, sempre fra mura gigantesche e grandi porte, per cui si vedono altre mura e altre porte lontane. A un tratto, voltandoci a sinistra, vediamo un grande portico oscuro, e uno spazio di terreno senz'erba, sparso di marmi. Ci avviciniamo: son pezzi di statue. Ci son teste enormi con la fronte e con gli occhi levati in alto, che dovevano sorreggere degli architravi; torsi di guerrieri atletici senza capo; in un canto un mucchio di teste di dèi, di soldati, d'imperatori, di vergini, tutte mutilate, e col viso rivolto verso chi guarda; rottami di colonne che tre uomini non possono abbracciare, e mucchi di figurine e di pezzi d'ornato staccati dai capitelli, e pietre di mosaico sparse. Tutti questi marmi lasciati così in terra, e disposti in un cert'ordine, d
Infatti, nei primi strati, s'incominciarono a trovare rottami di stoviglie, il cui colore rosso carico significava una diligente cottura, e le sagome tondeggianti, e qualche traccia d'ornato lineare, accennavano un certo grado di perfezione a cui era giunta l'industria figulina. E questo poteva denotare che gli abitanti della caverna, ancora mezzo selvaggi, erano in relazione con gente più civile, o abitante al piano, o venuta pur dianzi da lontano paese, presso cui le arti più utili alla vita erano gi
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