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Aggiornato: 17 maggio 2025
VIRGINIO. Che mirate, uomo da bene? PEDANTE. Certo, questo è il padrone. GHERARDO. Lascia mirar quel che gli piace. Debb'esser poco pratico in questa terra: ché, negli altri luochi, non si pon mente a chi mira come qui; ma si lascia mirar ognuno. PEDANTE. S'io miro, io non miro sine causa. Ditemi: conoscete voi in questa terra messer Virginio Bellenzini?
FLAMMINIO. Cosí non fusse! ch'io ho paura che questo non sia la cagion di tutto 'l mio male: perché io amai giá molto caldamente quella Lelia di Virginio Bellenzini di ch'i' ti parlai; e ho paura ch'Isabella non dubiti che questo amor duri ancora e, per questo, non mi voglia vedere. Ma io gli farò intendere ch'io non l'amo piú; anzi, l'ho in odio e non la posso sentir ricordare.
FABRIZIO. Che vuol da me? che ho da far né con voi né con lui? VIRGINIO. Ancor hai ardir di parlare? Di chi sei figliuola, tu? FABRIZIO. Di Virginio Bellenzini. VIRGINIO. Volesse Dio che tu non fusse! ché tu mi farai morir innanzi tempo. FABRIZIO. Innanzi tempo muore un vecchio di sessant'anni? Tanto vivesse ognuno! Morite a vostra posta, ché sète vissuto troppo. VIRGINIO. Tua colpa, ribalda!
Anzi, l'ha trovato due volte in casa; ed hagli fatto mille carezze, presolo per la mano, toccato sotto 'l mento, come se fusse suo figliuolo. E dice che gli par che s'assomigli a una figliuola di Virginio Bellenzini. GIGLIO. Ah reniego del putto, vieio puerco, vellacco! Ya, ya. Sé io lo que quiere. PASQUELLA. Uh! Tu m'hai tenuta troppo; me ne voglio ire. GIGLIO. Mira que verrò, á esta nocce.
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