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Aveva il Presidente Veneri nel suo equipaggio qualche cosa di somigliante a quello del senatore ministro Prina, e, da quanto mi fu detto in seguito, la servitú del Presidente, quando il popolo entrò nel cortile, creduta essere quella del conte Prina, fu ingiuriata e maltrattata. Terminato quel breve dialogo fra me e l'incognito, vidi al mio lato destro il conte senatore Thiene, il quale, essendo gottoso ed essendo stato vivamente ingiuriato quando entrò nella porta del palazzo, lentamente si avviava e non senza timore. A tale vista io mi levai dalla moltitudine, che mi circondava, e, presolo sotto braccio, gli dissi: «Venite con me, ed andremo sicuri». Passai seco i portici e lentamente scesi le scale fra mezzo alla folla del popolo, il quale rimase tranquillo, e solo udivasi un moderato bisbiglio, quale suole formarsi ove molti se ne stanno discorrendo di qualche fatto. Scese le scale, fortunatamente la mia carrozza s'inoltrò alla porta grande; ma quale non fu la mia maraviglia all'atto di farvi montare il conte Thiene e di entrarvi io stesso, veggendo in essa, sebbene non fosse che di quelle dette bastardelle, fatta per due o tre persone, tre senatori ivi rifugiatisi. Erano questi i conti Carlotti, Condulmer e Massari. Rimase in sospeso a tal visto il conte Thiene, e non senza timore; ma io presolo sotto braccio ed aiutandolo: «Salite, dissi, che in qualche modo ci entreremo tutti due». Montammo infatti, adagiandoci come potemmo; uscí dal palazzo la carrozza, ed il popolo gridando «Bravo Verri, evviva Verri» seguiva la carrozza correndo. A questa vista mi venne primieramente in pensiero di andare alla casa paterna situata dirimpetto al Monte Napoleone, e però vicina; cosí ordinai al cocchiere, lusingato che, quando fossi in detta casa, il popolo si sarebbe ritirato. Accortomi però subito della falsit