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Sicut leo rugiens quaerens quem devoret, dice la Scrittura. Imperocchè, così doveva essere, non altrimenti. Quel biondo e bello artigliere «che pareva Gabriel che dicesse: ave» scorreva la campagna per provare i tiri di rimbalzo, radenti e ficcanti, del suo repertorio.

Con quanto fervore qualche buon contadinotto credette davvero, che il vecchio imperatore in persona fosse ritornato! Il principe, che si era atteggiato a erede della Rivoluzione per lo spazio di due decenni, adesso di botto, siccome i fanatici del quieto vivere e dell'ordine miravano a lui, si offrì alle speranze degli ultraconservatori. A questi nuovi alleati aveva prestato un pegno dei suoi buoni sentimenti fin dal tempo che era a Londra; infatti, durante le agitazioni dei cartisti, egli si era ascritto come artigliere. «Il mio nome è il simbolo dell'ordine e della sicurezza», diceva il suo manifesto elettorale. Egli si designò protettore della famiglia e della propriet

Macchiavelli andò due volte al campo della Lega per conto della Signoria, e ne tornò sconfortato: tutto andava a rifascio. Firenze esposta ai primi colpi poteva essere da un giorno all'altro presa e saccheggiata. Intanto gli imperiali comandati dal Borbone, congiuntisi ai lanzichenecchi avanzavano su Bologna: il duca di Ferrara, il grande artigliere d'allora, sempre minacciato dalla politica assorbente del papato li spalleggiava. Firenze abbandonata dal papa, che trattava coll'imperatore, mandava di nuovo Macchiavelli al Guicciardini; il quale non riuscendo a smovere il duca d'Urbino dal proposito timido o traditore di non attaccare gl'imperiali, promise di accorrere al primo pericolo della patria colle genti del papa, anche malgrado la volont